In questo articolo si esaminano i criteri con cui la legge regolamenta l’affidamento dei figli in caso di separazione e/o divorzio. Per quanto numerosi ed eterogenei siano gli interessi coinvolti nella crisi coniugale, l’interesse dei figli è da sempre considerato prioritario, tanto delle parti in procinto di addivenire alla separazione o al divorzio, quanto dai Giudici chiamati a valutare, in caso di procedimenti contenziosi, le richieste contrapposte dei coniugi/genitori.
L’Avv. Chiara Pollini, nel proprio di Studio Legale a Vinci-Sovigliana, si occupa prevalentemente di diritto civile e di diritto di famiglia e, in questo ambito, ha maturato lunga esperienza anche in materia di separazione e divorzio.
Nel quadro sistematico è assai significativo, in materia di filiazione, che il dettato legislativo non muova dalla mera imposizione di obblighi e/o doveri ai genitori, bensì si declini – dalla prioritaria prospettiva della parte bisognosa di tutela, la prole – riconoscendo i diritti e i fondamentali interessi di cui risultano titolari i figli e che connotano il rapporto di filiazione.
Questa stessa prospettiva è adottata rigorosamente nei Tribunali nell’ambito dei procedimenti in materia di filiazione, separazione e divorzio: l’interesse prevalente, nella vicenda familiare, perseguito dal Giudice è sempre quello dei figli, soprattutto se minorenni: anche se la coppia dei genitori entra in crisi, anche se si guastano i reciproci rapporti e cessa la convivenza tra essi, non mutano i diritti e gli obblighi nei confronti dei figli, né la prospettiva adottata dal Giudicante nella vicenda familiare che muoverà comunque perseguendo il prioritario interesse della prole, come confermato dalle modifiche, anche processuali, introdotte ex D.Lgs. 149/2022 in tal senso.
Per quanto riguarda gli aspetti economici riguardanti la prole, ci si è già occupati, per sommi capi, in altri articoli del blog dell’obbligo di concorrere al mantenimento dei figli che sussiste a carico di entrambi i genitori in base alle rispettive sostanze e viene ad esistenza per il solo fatto di avere generato la prole (a prescindere dall’avere contratto matrimonio e indipendentemente dalle unioni civili e/o di fatto).
Volendo accennare, invece, agli altri provvedimenti riguardanti la prole, si farà qui cenno alla disciplina dell’affidamento dei figli (minorenni) contenuta nel Codice Civile agli articoli 337 ter e quater, che trova applicazione nei casi di separazione e divorzio, oltre che nei casi di annullamento/nullità del matrimonio e, parimenti, nei procedimenti che riguardano i figli nati fuori dal matrimonio.
In virtù della citata disciplina, è diritto dei figli essere mantenuti, educati, curati, istruiti e assistiti materialmente e moralmente da ciascuno dei genitori, nel rispetto delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni della persona. È diritto dei figli, inoltre, crescere in famiglia e mantenere stabili rapporti con tutti i membri della famiglia anche (e soprattutto) durante le delicate fasi della crisi coniugale e successivamente alla separazione e al divorzio, così l’art. 315 bis c.1. del Codice Civile.
La citata norma sancisce il più importante principio della bigenitorialità, il più evoluto fondamento del diritto di famiglia, secondo il quale la responsabilità genitoriale deve essere esercitata da entrambi i genitori dai quali l’Ordinamento italiano esige, a prescindere dalla crisi coniugale e dalle difficoltà di comporla, un imprescindibile minimum di cooperazione nell’interesse superiore della prole al fine di preservare, in favore dei figli – e seppure parzialmente rispetto alle condizioni precedenti di unità familiare – stabilità nelle relazioni affettive genitoriali e familiari, attraverso uno sforzo collaborativo tra i genitori, una linea progettuale e organizzativa nella crescita dei figli, nella cura e nell’assistenza morale e materiale della prole.
Il (relativamente recente) principio della bigenitorialità – non più “patria potestà”, né “potestà dei genitori” – e i contenuti in cui esso si concreta meritano ben più lunga riflessione cosicché, qui, se fa soltanto cenno, per lasciare spazio alla primissima domanda che i coniugi in procinto di separarsi pongono al proprio avvocato e che riguarda, appunto, l’affidamento dei figli della coppia.
Quando due genitori in procinto di separarsi si rivolgono all’avvocato civilista che si occupa quindi, tra l’altro, anche di diritto di famiglia, la domanda è (apparentemente) semplice: “Avvocato, in caso di separazione, a chi vengono affidati i bambini?”. La risposta si articola in due punti:
L’affidamento dei figli viene stabilito, di regola, in condivisione tra i genitori secondo l’art. 337 ter co.2 del Codice Civile: “Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati [omissis]”.
L’affidamento condiviso dei figli, pur essendo preferibile e di regola previsto dal Giudice, viene escluso, invece, qualora esso, nella concreta fattispecie, non sia nell’interesse del minore. L’affidamento esclusivo al genitore ritenuto più idoneo viene disposto dal Giudice all’esito di procedimento contenzioso davanti al Tribunale con provvedimento motivato. Più raro, ma non vietato in via di principio, è il caso in cui l’affidamento esclusivo dei figli venga previsto per accordo dai genitori entro la procedura di separazione consensuale o di divorzio congiunto. Si precisa che, in questo caso, i coniugi dovranno motivare specificamente sul punto per consentire il vaglio del Giudice in sede di Omologa o di Sentenza.
Sebbene l’affidamento condiviso dei figli sia la soluzione preferibile in caso di separazione e/o divorzio, nei casi in cui ciò non corrisponda all’interesse del minore, si opterà necessariamente per l’affidamento dei figli a un solo genitore (cosiddetto “affidamento esclusivo”), ovverosia a quello dei due ritenuto più idoneo.
I figli minorenni, infatti, saranno affidati a un solo genitore nel caso in cui la conflittualità sia tale da pregiudicare gli interessi del minore, nonché nei casi in cui un genitore non sia ritenuto idoneo alla cura dei minori.
La casistica per lo più comprende fattispecie in cui un genitore abbia usato violenza nei confronti dell’altro alla presenza dei figli, oltre che i casi di condotta violenta di un genitore verso i figli stessi. Poi, vari sono i precedenti della giurisprudenza di casi in cui un genitore abbia mostrato gravi carenze educative che, nella singola fattispecie, hanno indotto i Giudici a disporre l’affidamento esclusivo della prole all’altro genitore. Senza volere essere esaustivi, alcuni esempi: è stato disposto l’affidamento esclusivo dei figli nel caso di un genitore discontinuo nell’esercizio del diritto di incontro/visita; nel caso di un genitore che tiene sistematicamente comportamenti atti ad allontanare affettivamente/emotivamente il minore dall’altro genitore e/o che impedisce la frequentazione genitore/figlio. Vi sono, poi, i casi in cui è il figlio che chiede di non incontrare uno dei genitori.
Anche in caso di affidamento esclusivo, il Giudice applicherà, per quanto possibile in base alle circostanze concrete, il citato art 337-ter e adotterà i più opportuni provvedimenti affinché sia garantito, compatibilmente con la fattispecie concreta, il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori (e a ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi, oltre che conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale).
Infine, un’ipotesi ancor più residuale prevede l’affidamento dei figli, o a parenti e istituzioni, in caso di impossibilità temporanea di affidare il minore a un genitore. Si tratta di provvedimenti che il Giudice può adottare per ragioni di eccezionale gravità, come extrema ratio, cioè quando vi è alto rischio che i genitori per fatto/condotta propria e/o per altre contingenze di fatto, possano arrecare pregiudizio per il minore.
Lo Studio Legale Avv. Chiara Pollini, per approfondimenti in materia di separazione e divorzio e, in special modo, per chiarimenti sulla possibilità di richiedere affidamento esclusivo dei figli minorenni, nonché, in generale, per una prima consulenza sul Vs. caso riceve, soltanto previo appuntamento, ai recapiti indicati (i riferimenti sono nella sezione contatti).
Lo Studio Legale Avv. Chiara Pollini si trova a Vinci- Sovigliana, in località prossima al Comune di Capraia e Limite ed è raggiungibile in pochi minuti, anche a piedi, anche dal centro storico di Empoli. Nel proprio Studio Legale l’Avv. Chiara Pollini si occupa prevalentemente di questioni di diritto civile e di diritto di famiglia, materie in cui l’Avv. Chiara Pollini si è formata professionalmente e in cui si aggiorna con continuità.
Nell’ambito del diritto di famiglia, quando gli assistiti si rivolgono allo studio legale di propria fiducia in procinto di affrontare la separazione personale dal coniuge, oppure per chiedere il divorzio, la regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi rappresenta uno dei punti focali della controversia.
Oggetto di contesa sono, tra gli altri beni, la casa familiare e/o le altre proprietà immobiliari (e/o i diritti reali su beni immobili) la cui attribuzione e/o assegnazione può essere decisa per accordo dai medesimi coniugi in caso di separazione consensuale e di divorzio congiunto. Soltanto in caso di disaccordo, invece, sarà il Giudice (su domanda di parte) a decidere in merito alla proprietà e agli altri diritti sugli immobili, all’esito del procedimento di separazione giudiziale o di divorzio giudiziale.
In altri articoli del blog si è fatto cenno alle ragioni per le quali, quando possibile, sono preferibili le soluzioni concordate della crisi coniugale, in via di separazione consensuale e di divorzio congiunto, oppure ricorrendo all’ulteriore strumento della procedura di negoziazione assistita. Una di queste ragioni riguarda i trasferimenti immobiliari che, entro l’ambito delle soluzioni concordate della crisi coniugale, i coniugi possono prevedere a favore di uno di essi o a favore dei figli, anche senza la previsione di un corrispettivo.
Per tale via, infatti, i coniugi giungono alla sistemazione del proprio patrimonio immobiliare in tempi molto più celeri rispetto a quelli che richiederebbe una causa di separazione o di divorzio giudiziale e, soprattutto, senza l’alea che caratterizza necessariamente ogni procedimento contenzioso. Il tutto, conseguendo anche vantaggi fiscali.
I coniugi possono accordarsi per trasferire da uno all’altro la proprietà esclusiva di un immobile (la casa familiare o altra abitazione, fondo, terreno e/o quant’altro), ovvero cedere reciprocamente le quote di proprietà su immobili, così come costituire diritti reali su immobili a loro favore (uso, abitazione, usufrutto), oppure prevedere il trasferimento o la costituzione di diritti reali in favore dei figli.
Nella prassi, più spesso, con la separazione consensuale o con il divorzio congiunto (analogamente con la negoziazione assistita), le predette operazioni immobiliari vengono preliminarmente promesse da un coniuge all’altro, con conseguente obbligo di concluderle entro un certo termine. Precisamente, nell’atto introduttivo del giudizio, le parti assumono l’impegno al trasferimento immobiliare che si realizzerà, davanti al Notaio, in un momento successivo alla separazione (o al divorzio) concordato dalle parti stesse.
In tal caso, ferme le agevolazioni fiscali, le parti dovranno comunque recarsi davanti al Notaio di loro fiducia per il trasferimento della proprietà.
Meno frequente, almeno per il momento, ma ben possibile, è l’immediato trasferimento immobiliare da un coniuge all’altro, o in favore dei figli, previsto già nel ricorso consensuale (quindi dandone, eventualmente, atto nel verbale di udienza di separazione o di udienza di divorzio davanti al Giudice). L’efficacia di questo tipo di accordo di trasferimento della proprietà sull’abitazione e/o sugli altri immobili dei coniugi è immediata nel senso che, di fatto, si concretizza necessariamente all’esito del procedimento di separazione (o divorzio) con il Decreto di Omologa adottato dal Tribunale, ovvero con la Sentenza di divorzio.
Se, in questo secondo peculiare caso, non è necessario l’intervento del Notaio, pur tuttavia si osserva, in linea generale, come la professionalità del Notaio offra le migliori garanzie ai coniugi affinché il trasferimento immobiliare sia immune dall’inizio da vizi di sorta, nonché ai fini della perfetta trascrizione nei pubblici registri immobiliari.
Il trasferimento immobiliare, infatti, è bene ricordarlo, può essere operazione molto complessa e che necessita di competenza interdisciplinare per i vari adempimenti di prassi; per tale motivo, a parere di Chi scrive, il Notaio resta la figura più adatta per la compilazione degli atti di trasferimento della proprietà e/o di costituzione dei diritti reali.
Tanto è vero che alcuni Tribunali hanno adottato protocolli specifici da seguire nel caso di accordi tra i coniugi aventi ad oggetto il trasferimento della casa familiare e degli altri immobili in sede di separazione o divorzio, onde istruire e compilare in maniera completa la parte dell’atto relativa al trasferimento.
Il trattamento di favore del quale, nel nostro Ordinamento, godono questi accordi tra i coniugi risponde alla specifica finalità per la quale essi sono stipulati: la sistemazione dei rapporti economici della coppia come parte della soluzione del legame affettivo/familiare. Essi rappresentano, cioè, il modo attraverso cui i coniugi risolvono la crisi coniugale e ne costituiscono condizione peculiare del componimento. Questa finalità, riconosciuta dalla Giurisprudenza, distingue tali accordi di trasferimento dalle donazioni.
[CASS. CIV., SEZ. I, SENTENZA, 10/04/2013, N. 8678]
[Cass. civ., Sez. V, 13/11/2015, n. 23225]
Per una consulenza in materia di regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, degli accordi di trasferimento immobiliare, in materia di separazione e divorzio e per altre questioni in materia di diritto di famiglia o di diritto civile, si invita a prendere un appuntamento in Studio.
*** Contenuto creato dall’Autore prima dell’entrata in vigore del
Decreto legislativo 10/10/2022, n. 149 [ Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata].
Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 ottobre 2022, n. 243
L’Avv. Chiara Pollini svolge l’attività nel proprio Studio Legale in provincia di Firenze, nel Comune di Vinci, dove si occupa di diritto civile e di diritto di famiglia.
Nell’ambito della materia del diritto di famiglia, lo Studio assistite i propri clienti nei procedimenti di separazione e di divorzio, fornendo la propria consulenza nell’arco di tutte le fasi della crisi coniugale.
In caso di richiesta di divorzio (così come per la separazione dei coniugi), pur prediligendosi soluzioni concertate della crisi familiare – separazione consensuale, divorzio congiunto e, non ultima, la procedura di negoziazione assistita – ove non sia possibile raggiungere alcun accordo, viene avviato il procedimento contenzioso di scioglimento del matrimonio o quello di cessazione degli effetti civili del matrimonio avanti il Tribunale.
La Legge sul divorzio Nr. 898/70 prevede, che con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale disponga l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro che non ha mezzi adeguati – o comunque che non può procurarseli per ragioni oggettive – previa valutazione:
e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.
La Giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di assegno divorzile, nei decenni molto vasta, è addivenuta recentemente ad una rinnovata interpretazione della disciplina citata, con la nota pronuncia a Sezioni Unite Nr. 18287 del 11 Luglio 2018.
In materia di assegno divorzile, con tale sentenza viene abbandonata l’interpretazione che fondava il riconoscimento dell’assegno di divorzio sul diritto per il coniuge richiedente di mantenere il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
A tale orientamento, è subentrata una lettura della legge costituzionalmente orientata ai principi di pari dignità e solidarietà tra le parti, il cui fulcro è – certamente – l’analisi della complessiva situazione reddituale/patrimoniale di ciascuna parte che viene, non soltanto confrontata con quella dell’altra parte, in quanto condizione economica effettiva e attuale, ma valutata anche nel suo potenziale (le possibilità del coniuge di procurarsi mezzi adeguati di cui alla Legge Nr. 898/70).
Infatti, secondo il nuovo orientamento della Corte di Cassazione in materia di diritto all’assegno divorzile, affinché l’assegno venga riconosciuto al coniuge che ne fa richiesta – e quantificato nella misura in cui è domandato nella singola fattispecie – assolvendo alla funzione (anche) assistenziale, oltre che perequativa, riequilibratrice e risarcitoria a tutela della parte economicamente più debole.
Posta la fondamentale importanza di approfondito esame delle posizioni economiche dei coniugi, il Tribunale, affinché possa essere dichiarata l’esistenza del diritto all’assegno divorzile (e per quantificare l’importo), dovrà mettere in relazione la disamina predetta con gli altri parametri previsti dalla legge di divorzio.
Si riporta un passo della citata fondamentale pronuncia: “Ai fini del riconoscimento dell’assegno si deve adottare un criterio composito che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, dia particolare rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all’età dell’avente diritto. Il parametro così indicato si fonda sui principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che permeano l’unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo. Il contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili, che possono incidere anche profondamente sul profilo economico patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell’unione matrimoniale”.
La Giurisprudenza a Sezioni Unite fornisce, quindi, una chiave di lettura della norma che getta luce sulle ragioni che – lungo la durata del matrimonio – hanno causato e/o concausato la differenza patrimoniale e reddituale dei coniugi che residua alla fine del matrimonio, cosicché il diritto all’assegno di divorzio risponda alla rinnovata funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa.
Dopo la pronuncia a Sezioni Unite, quindi, la Giurisprudenza delle più recenti pronunce fornisce applicazioni del nuovo orientamento univoche, tra cui la recente Cass. civ., Sez. VI – 1, Ordinanza, 22/09/2022, n. 27753 da cui è estratta la trascritta massima “Il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della L., n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto” .
A mente del dettato normativo e ricordato il nuovo Orientamento delle Sezioni Unite, il coniuge che avvii una procedura di divorzio contenzioso per vedere accolta, tra le altre richieste del divorzio, l’istanza di assegno divorzile dovrà dettagliare e provare al Giudice i propri redditi e l’inferiorità complessiva della propria posizione economica rispetto a quella della controparte e, allo stesso tempo, fornire prova dell’impegno profuso – nel corso del matrimonio – nell’organizzazione della vita familiare e l’apporto fornito alla formazione del patrimonio familiare e delle conseguenze che ciò ha importato sulla condizione economica medesima.
Lo Studio Legale Avv. Chiara Pollini si trova nella frazione di Sovigliana-Vinci, raggiungibile in pochi minuti anche dal confinante centro città di Empoli e dai limitrofi Comuni di Capraia-Limite e Montelupo Fiorentino.
Per una consulenza in materia di divorzio e approfondimenti sulla opportunità di richiedere l’assegno divorzile (o la sua revisione) e, in ogni caso, per una valutazione del Vs. caso concreto, lo Studio Legale Avv. Chiara Pollini riceve previo appuntamento ai recapiti indicati.
*** Contenuto creato dall’Autore prima dell’entrata in vigore del
Decreto legislativo 10/10/2022, n. 149 [ Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata].
Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 ottobre 2022, n. 243
L’Avv. Chiara Pollini opera nel proprio Studio Legale in provincia di Firenze, nel Comune di Sovigliana-Vinci, a pochi passi dal centro città di Empoli. Lo Studio si occupa di diritto civile e di diritto di famiglia e, in questo ambito, per i procedimenti di separazione (o divorzio) dei coniugi, anche di Negoziazione Assistita.
La crisi coniugale può risolversi trovando un accordo tra le parti, non più soltanto con la separazione consensuale (o con il divorzio congiunto), ma anche in via stragiudiziale con lo strumento che, con linguaggio tanto improprio quanto d’effetto, è comunemente conosciuto come “separazione tramite avvocati” in quanto non è necessario adire il Tribunale.
La procedura prevede obbligatoriamente l’assistenza di almeno un avvocato per ciascun coniuge e si articola in due fasi principali:
la redazione/sottoscrizione della Convenzione di Negoziazione e la conclusione/sottoscrizione dell’Accordo di Negoziazione.
Il coniuge che ha deciso di separarsi (o divorziare) invierà – tramite il proprio avvocato – un invito formale all’altro coniuge alla stipula della Convenzione di Negoziazione, cui seguirà, in caso di accettazione da parte del coniuge destinatario, l’avvio della procedura stragiudiziale.
Nel caso in cui il coniuge destinatario rifiuti l’invito ad aderire alla procedura, il coniuge che ha preso l’iniziativa non potrà fare altro che ricorrere alla via giudiziale e rivolgersi al Tribunale.
Sul presupposto, invece, che l’interesse alla separazione (divorzio) consensuale “davanti agli avvocati” sia condiviso e l’invito venga accettato, si avvia il procedimento.
La prima fase prevede che venga redatta dagli avvocati la Convezione di Negoziazione, in vigenza della quale i coniugi cercheranno, aiutati dai rispettivi avvocati, di giungere all’accordo di separazione (divorzio) vero e proprio.
Si tratta di una convenzione/contratto tra i coniugi con il quale, tra l’altro, le parti si obbligano a cooperare tra loro in buona fede e con lealtà per risolvere bonariamente la controversia e raggiungere comunanza di intenti sulle condizioni di separazione/divorzio.
Fondamentale è l’obbligo di riservatezza sulle informazioni acquisite dalle parti in questa fase: la Convenzione di Negoziazione vieta, infatti, alle parti (e specificamente anche i rispettivi avvocati) di divulgare e/o utilizzare in un eventuale giudizio avente il medesimo oggetto le notizie apprese nel corso della procedura.
Nella Convenzione di Negoziazione sono indicati i tempi della procedura che non possono essere inferiori a un mese e che non devono protrarsi oltre i quattro mesi.
Entro questo periodo, tramite il confronto e la collaborazione dei rispettivi avvocati nel quadro della disciplina indicata dalla Convenzione di Negoziazione, le parti cercano di avvicinare le loro divergenze e trovare l’auspicato accordo.
In questa fase, come accade per la separazione consensuale avanti il Tribunale (o per il divorzio congiunto), vengono esaminati tutti gli aspetti dei rapporti tra i coniugi, tra i genitori, tra genitori e figli e ogni questione economica e patrimoniale che necessiti di essere regolata.
È questa la delicatissima fase di confronto e di conciliazione delle richieste e delle posizioni dei coniugi in cui devono valutarsi gli opposti interessi, trovando una soluzione conciliativa che soddisfi entrambe le parti.
Se le parti giungono ad un accordo nel termine previsto nella Convenzione di Negoziazione, gli avvocati redigono il Verbale di Negoziazione Assistita che, finalmente sottoscritto dai coniugi, conterrà le condizioni vere e proprie dell’accordo di separazione (o divorzio).
Il verbale sarà trasmesso, nel termine di dieci giorni dalla data di conclusione, al Procuratore della Repubblica (P.M.) presso il Tribunale competente per la verifica della regolarità e dei contenuti e, quindi, per ricevere autorizzazione e/o nulla osta (soltanto successivamente, l’accordo sarà trasmesso anche all’Ufficio dello Stato Civile del Comune per le necessarie annotazioni).
Nel caso in cui il P.M. non ritenga di poter rilasciare autorizzazione (o nulla osta, a seconda che siano, o non siano, coinvolti interessi anche di figli minorenni della coppia o maggiorenni non indipendenti economicamente), trasmetterà il verbale al Presidente del Tribunale.
Il Presidente del Tribunale, entro cinque giorni successivi, fissa la comparizione delle parti avanti a Sé, aprendosi una terza fase che, a seconda dei casi, potrà condurre alla definitiva autorizzazione dell’accordo o, invece, al diniego da parte del Presidente.
La procedura per separarsi (o divorziare) senza dover ricorrere al Tribunale è qui descritta in maniera sintetica e senza pretesa di essere esaustiva, ma, si crede, è già sintesi da cui si comprende la snellezza della procedura e le brevità delle tempistiche.
Lo Studio Legale Avv. Chiara Pollini offre la propria consulenza per la valutazione della possibilità di ricorrere alla procedura della Convenzione di Negoziazione Assistita per la separazione dal coniuge (o per modificare le condizioni di separazione o per il divorzio) e, in generale, per valutare la possibilità di risolvere consensualmente la crisi coniugale.
Si ricorda che lo Studio riceve previo appuntamento ai recapiti indicati nella sezione contatti.
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Decreto legislativo 10/10/2022, n. 149 [ Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata].
Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 ottobre 2022, n. 243
L’Avv. Chiara Pollini nel proprio Studio Legale di Vinci, nella provincia di Firenze, si occupa prevalentemente di diritto civile, assistendo i propri Clienti, tra l’altro, per le controversie in materia di diritto di famiglia. In particolare, sin dagli inizi della propria carriera, l’Avvocato Chiara Pollini ha, con continuità, orientato e curato il proprio percorso formativo in materia di procedimenti di separazione e divorzio, congiunti o giudiziali (contenziosi), acquisendo esperienza e competenza.
Nelle consulenze legali in materia di diritto di famiglia e, in particolare, nell’assistenza legale al coniuge che intende chiedere il divorzio, l’Avv. Chiara Pollini predilige tendenzialmente la ricerca di un bonario componimento tra le parti, dedicandosi con attenzione e perseveranza, d’accordo con il proprio assistito, alla comunicazione e al confronto con la controparte. La prima parte dell’assistenza professionale dell’avvocato a fronte della volontà di divorzio manifestata dal Cliente è, quindi, finalizzata a trovare il reciproco consenso degli interessi su condizioni di divorzio che possano accontentare entrambi.
Il procedimento di divorzio congiunto, infatti, è solitamente ritenuto rispondente all’interesse delle parti per il risparmio di tempo e oneri di cui entrambe possono beneficiare. Per tacere delle minori tensioni emotive tra le persone coinvolte e quindi – considerazione fondamentale – anche a beneficio dei figli della coppia.
Soltanto quando la via del divorzio congiunto risulti nettamente non percorribile, si procede, senza indugio, in via giudiziale.
Il divorzio giudiziale è avviato, con l’assistenza obbligatoria dell’avvocato, su istanza del coniuge con ricorso al Tribunale competente, quindi senza il consenso dell’altro e apre una causa civile nel corso della quale ogni domanda e ogni pretesa (assegno divorzile, assegnazione casa familiare…) di una parte nei confronti dell’altra dovrà essere puntualmente oggetto di prova.
Il procedimento di divorzio giudiziale si compone della prima “fase presidenziale” e della seconda “fase contenziosa”, concludendosi con la sentenza di divorzio.
La fase presidenziale prevede la fissazione dell’udienza di comparizione personale dei coniugi avanti al Presidente del Tribunale, con l’assistenza dei rispettivi avvocati. Durante l’udienza presidenziale, i coniugi vengono sentiti dal Presidente del Tribunale e viene esperito il tentativo di conciliazione.
Se la conciliazione riesce (un ripensamento dei coniugi sull’opportunità di divorziare, per quanto raro nella realtà, è possibile), ne viene redatto il verbale; se la conciliazione non riesce, il processo prosegue.
L’udienza presidenziale riveste particolare importanza in quanto (salvo il caso raro della riuscita conciliazione), all’esito, vengono emanati i cosiddetti “provvedimenti provvisori”.
Con tale Ordinanza, infatti, oltre alla nomina del Giudice Istruttore cui sarà assegnata la causa di divorzio e la fissazione dell’udienza di comparizione e trattazione per la prosecuzione della procedura di cessazione degli effetti del matrimonio, vengono assegnati termine al ricorrente per il deposito della memoria integrativa e termine al convenuto per la memoria di costituzione.
Da questo momento in poi, si apre la fase contenziosa, in cui il procedimento di scioglimento / cessazione degli effetti civili del matrimonio prosegue secondo le regole procedurali – e i tempi – di una causa civile comune, pur caratterizzata dall’intervento del P.M. (art. 4 L. 898/70).
Costituitesi rispettivamente le parti, con il deposito della memoria integrativa del ricorrente e della comparsa costitutiva del coniuge resistente (salvo contumacia, possibile anche nelle procedure di divorzio), si apre la fase istruttoria, scandita dalle memorie istruttorie. Con il deposito di questi ultimi atti, vengono allegati i mezzi di prova necessari per convincere il Giudice della fondatezza delle domande e delle eccezioni svolte dai coniugi (ad esempio: il diritto all’assegno divorzile, la quantificazione del concorso al mantenimento dei figli, l’assegnazione della casa familiare e ogni altra questione da regolamentare nel merito dei rapporti personali e/o economici delle parti).
Fondamentale importanza, come detto in un precedente articolo del blog, sarà fornire puntuale prova della situazione economica e reddituale delle parti, per permettere al Giudice di ponderare la regolamentazione dei reciproci rapporti economici delle parti.
Esaurita la fase istruttoria, la causa è ritenuta matura per la decisione e viene rimessa al Collegio. Il processo si conclude con la sentenza di divorzio, con la quale (se non è stata emessa, medio tempore, sentenza provvisoria di scioglimento/cessazione degli effetti civili del matrimonio) il Tribunale in composizione collegiale pronuncia il divorzio e decide sulle domande proposte dalle parti.
L’iter del procedimento di divorzio giudiziale è qui illustrato in maniera volutamente sintetica, soltanto nei passaggi salienti ma, si crede, in maniera comunque efficace per giustificarne, data la complessità e il numero di atti che scandiscono le fasi processuali, almeno in parte, i tempi processuali che esso richiede (mediamente tre anni, a seconda del Tribunale adito).
Per una consulenza specifica in materia di divorzio e/o per un parere legale su questioni in materia di diritto di famiglia o di diritto civile, si invita a prendere un appuntamento in Studio contattando i recapiti indicati sul sito internet.
*** Contenuto creato dall’Autore prima dell’entrata in vigore del
Decreto legislativo 10/10/2022, n. 149 [ Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata].
Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 ottobre 2022, n. 243
L’Avv. Chiara Pollini nel proprio Studio Legale nel Comune di Vinci – Sovigliana, poco distante dal centro città di Empoli, si occupa prevalentemente di diritto civile, dedicandosi con continuità, tra l’altro, alle questioni che riguardano il diritto di famiglia e i procedimenti di separazione e divorzio.
Nell’affrontare la crisi coniugale, i coniugi si rivolgono al proprio avvocato di fiducia per una consulenza legale che investe, sia gli aspetti prettamente personali, i diritti della persona e della famiglia, sia necessariamente il regime patrimoniale della famiglia stessa.
Per sommi capi già presi in esame, in precedenti articoli del blog, i diversi regimi patrimoniali della famiglia, qui si illustrerà brevemente come i beni dei coniugi vengano divisi una volta intervenuto il cosiddetto “scioglimento della comunione dei beni” tra i coniugi.
In caso di crisi coniugale lo “scioglimento della comunione” avviene: in caso di separazione giudiziale, con la pronuncia dell’ordinanza presidenziale; in caso di separazione consensuale, con la sottoscrizione del processo verbale di separazione dei coniugi.
La comunione legale peraltro, a prescindere dalla crisi coniugale, si scioglie anche nei seguenti casi: morte di uno dei due coniugi; annullamento del matrimonio; dichiarazione di assenza o morte presunta di uno dei coniugi; fallimento di uno dei coniugi; convenzione tra coniugi.
Cessato il regime di comunione legale dei beni, questi entrano nel regime di comunione ordinaria. Con la comunione ordinaria, ciascun coniuge potrà liberamente e discrezionalmente disporre della propria quota di proprietà sui beni (senza il consenso dell’altro comproprietario).
La divisione “materiale” dei beni del comune patrimonio, cioè la divisione che conduce alla proprietà esclusiva sul singolo bene, anziché pro-quota, è però soltanto eventuale. Essa dipende unicamente dalla volontà e dagli interessi concreti dei coniugi (sebbene la domanda di divisione del patrimonio sia, nella pratica, molto frequente, una volta che i coniugi si sono legalmente separati).
I coniugi separati, infatti, ben possono decidere di continuare a essere comproprietari, ora ciascuno per la propria quota, sui beni immobili e mobili.
La domanda di divisione del patrimonio, dunque, non può proporsi contestualmente nel giudizio di separazione, dato che lo scioglimento della comunione si verifica solo con il passaggio in giudicato della pronuncia di separazione stessa. Essa è domanda autonoma, da proporsi con separato giudizio al Tribunale.
La divisione dei beni della comunione non avviene in maniera automatica con la separazione personale dei coniugi, ma deve essere oggetto di un procedimento successivo che può essere consensuale o giudiziale.
In caso di accordo dei coniugi separati sulla modalità di ripartizione dei beni, la divisione – divisione consensuale – può avvenire tramite stipulazione di un contratto (rispettandosi la forma contrattuale relativa alla circolazione dei beni oggetto di divisione). Al contrario, in caso di disaccordo, non resterà altro modo che ricorrere al Giudice.
Essa si effettua ripartendo in parti uguali l’attivo ed il passivo (art. 194 Cod.Civ.). La divisione può avvenire in natura, cioè formando due masse distinte di beni di uguale valore economico. Eventualmente, i beni indivisibili possono essere venduti e il ricavato suddiviso tra le parti, oppure assegnati ad un coniuge, salvo conguaglio in denaro all’altro.
Si evidenzia, inoltre, l’obbligo per i coniugi di procedere alla restituzione e ai rimborsi l’uno nei confronti dell’altro, ai sensi dell’art. 192 Cod. Civ.. La norma, infatti, dispone che: “Ciascuno dei coniugi è tenuto a rimborsare alla comunione le somme prelevate dal patrimonio comune per fini diversi dall’adempimento delle obbligazioni previste dall’articolo 186.
È tenuto altresì a rimborsare il valore dei beni di cui all’articolo 189, a meno che, trattandosi di atto di straordinaria amministrazione da lui compiuto, dimostri che l’atto stesso sia stato vantaggioso per la comunione o abbia soddisfatto una necessità della famiglia.
Ciascuno dei coniugi può richiedere la restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune”.
I coniugi sono tenuti a rimborsare, cioè, somme prelevate dal patrimonio comune (ad esempio: dal conto corrente cointestato) che non siano state impiegate per esigenze della famiglia. Sono, inoltre, previste dalla Legge restituzioni delle somme di denaro personali di un coniuge impiegate per il patrimonio comune.
Tra i beni da dividere rientrano anche i rapporti di conto corrente. La divisione del saldo sul conto corrente (spesso, peraltro, cointestato ad entrambi i coniugi) dopo lo scioglimento della comunione legale, risponde alle medesime regole delle altre tipologie di beni in comproprietà. Il saldo del conto corrente, quando i coniugi erano in comunione legale dei beni, infatti, appartiene ad entrambi. È l’effetto della comunione de residuo.
“I coniugi, coniugati in regime di comunione legale dei beni, al momento della separazione personale, devono ripartirsi nella misura pari alla metà la somma rinveniente sul conto corrente cointestato e costituito in costanza di matrimonio. A tale regola fa eccezione il caso in cui uno dei due coniugi riesca a dimostrare che il denaro sul conto corrente sia il frutto del proprio lavoro e che l’intestazione è fittizia e realizzata solo al fine di garantire all’altro una disponibilità economica per il ménage familiare”. [Cass. Civ. Ordinanza del 17/07/2018, n. 18869].
Ancora una volta, dunque, tenendo presente la complessità delle questioni attinenti il regime patrimoniale della famiglia, qui esposte soltanto per sommi capi e senza pretesa di completezza espositiva, si evidenzia l’importanza di una ponderata valutazione preliminare dell’assetto patrimoniale e reddituale della famiglia in vista della (pur inevitabile) separazione personale dei coniugi.
Tanto più il patrimonio della coppia in regime di comunione legale dei beni era consistente, tanto più articolata e complessa sarà la divisione dei beni in comunione ordinaria: si pensi ai casi in cui permangono rapporti bancari cointestati o condivisi, obbligazioni contrattuali e diritti di credito, finanziamenti e mutui e quant’altro realizzato e costruito, nell’ottica della solidarietà familiare, durante la vita matrimoniale. Tutte le poste, attive e passive, dovranno essere ripartite equamente.
Per una consulenza legale che tenga conto del caso concreto in materia di divisione dei beni rimasti indivisi dopo la separazione personale dei coniugi e/o dopo il divorzio, oppure per un parere legale che, nel corso della crisi coniugale in atto, consenta di valutare gli effetti della domanda di separazione personale sul regime patrimoniale della famiglia e, in generale, per altre questioni in materia di diritto di famiglia o di diritto civile, si invita a prendere un appuntamento in Studio.
*** Contenuto creato dall’Autore prima dell’entrata in vigore del
Decreto legislativo 10/10/2022, n. 149 [ Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata].
Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 ottobre 2022, n. 243
L’Avv. Chiara Pollini nel proprio Studio Legale nel Comune di Vinci – Sovigliana, poco distante dal centro città di Empoli, si occupa prevalentemente di diritto civile, dedicandosi con continuità, tra l’altro, alle questioni che riguardano il diritto di famiglia e i procedimenti di separazione e divorzio.
I quesiti e i temi da affrontare quando i coniugi, giunti ormai in procinto di separarsi, richiedono l’assistenza legale all’avvocato civilista, nella specifica materia del diritto di famiglia, sono molti. Tra questi, la bigenitorialità e il collocamento prevalente dei figli, insieme al concorso dei genitori nel loro mantenimento, rappresentano senz’altro gli aspetti più importanti e delicati. Alcuni di questi temi sono già stati oggetto di specifici articoli del blog pur senza voler essere esaustivi nella trattazione: si deve ricordare al lettore, infatti, che soltanto una consulenza legale personalizzata può essere adeguata alla complessità della materia.
Accanto agli aspetti giuridici che concernono specificamente i figli, oggetto del parere legale che si richiede all’avvocato civilista sono le questioni economiche e patrimoniali della famiglia: quest’ultime, infatti, possono diventare oggetto di aspra conflittualità nella coppia.
Si ricorda, infatti, come già illustrato sinteticamente in un precedente articolo del blog, che in mancanza di una diversa scelta da parte dei coniugi all’atto della celebrazione del matrimonio (o in un momento successivo), il regime patrimoniale legale della famiglia è costituito dalla comunione dei beni, disciplinata dagli articoli 177 e ss del Cod. Civ.
Con il regime patrimoniale della comunione legale, i beni dei coniugi, quindi, divengono oggetto di comunione (contitolarità) dei coniugi fin dal loro acquisto, c.d. comunione di acquisti immediata; oppure cadono in comunione soltanto al momento dello scioglimento della comunione stessa,
c.d. comunione de residuo.
La comunione legale, ai sensi dell’art. 177 c.c., comprende tutti i beni che cadono automaticamente in comunione: gli acquisti compiuti dai coniugi, sia beni materiali che diritti, insieme o separatamente, durante il matrimonio (ad esclusione di quelli relativi ai beni personali); i frutti dei beni propri di ciascun coniuge, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione (comunione de residuo); i proventi dell’attività separata di ciascun coniuge se, al momento dello scioglimento della comunione, non siano stati consumati (comunione de residuo); le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio; gli utili e gli incrementi di aziende gestite da entrambi i coniugi, ma appartenenti ad uno solo di essi anteriormente al matrimonio.
Discorso a parte deve farsi con riguardo alla comunione de residuo, che comprende tutti quei beni che, durante il matrimonio appartengono al coniuge che li ha percepiti ma che, solo se non consumati al momento dello scioglimento della comunione, sono divisi in parti uguali tra i coniugi.
Il regime di comunione legale dei beni consiste, quindi, in una comunione che ha per oggetto gli acquisti compiuti dai coniugi, sia congiuntamente che singolarmente, durante il matrimonio, ad esclusione pertanto dei beni personali, di pertinenza esclusiva di ciascun coniuge.
Non rientrano in comunione, i beni che rimangono in ogni caso di titolarità esclusiva del singolo coniuge, c.d. beni personali.
Tutti i beni di cui il coniuge era titolare – proprietario, ma anche usufruttuario, ovvero titolare di diritti reali – prima del matrimonio sono beni personali esclusi dal regime patrimoniale della comunione legale.
Sono parimenti esclusi dalla comunione dei beni quelli ricevuti in donazione o successione, salvo che nell’atto di donazione o nel testamento non sia diversamente specificato. Non cadono in comunione i beni acquistati, anche in costanza di matrimonio, per uso strettamente personale (abbigliamento, accessori, attrezzature sportivo/ludiche) o per impiego nell’attività professionale, né il denaro ottenuto a titolo di risarcimento per danni causati alla persona (o ai propri beni personali).
È evidente che, in caso di crisi coniugale, le problematiche economiche sono, almeno in parte, più agevolmente “superabili” se i coniugi, al momento della celebrazione del matrimonio (o in un momento successivo, convenzionalmente), hanno scelto il regime patrimoniale della separazione dei beni. Al contrario, quando la coppia in procinto di separarsi è in regime di comunione legale dei beni, deve riorganizzare e regolare i reciproci rapporti patrimoniali: immobili in comunione, polizze e investimenti, conti corrente cointestati e quant’altro, debiti compresi, esigono un’equilibrata sistemazione (divisione, appunto) tra le parti.
La separazione tra i coniugi determina la cessazione del regime della comunione legale, più comunemente detto “lo scioglimento” della comunione legale dei beni.
In particolare, in caso di separazione consensuale, i coniugi ben potranno accordarsi fin da subito anche sulla ripartizione dei beni comuni: l’accordo sulla divisione del patrimonio è, infatti, trascrivibile nell’accordo di separazione. Sostanzialmente, i coniugi concorderanno tra loro l’assegnazione dei beni comuni, immobili e mobili (e/o crediti e/o debiti) che sarà omologata dal Giudice.
In caso di separazione giudiziale, invece, non sarà possibile ab initio la regolazione dei rapporti patrimoniali, ma soltanto in un secondo procedimento di divisione giudiziale.
Precisamente, l’effetto della cessazione della comunione legale tra i coniugi decorre dalla data di sottoscrizione del verbale di separazione consensuale davanti al Presidente del Tribunale, cui seguirà Decreto di Omologa emesso dal Tribunale medesimo in composizione collegiale. Invece, in caso di separazione giudiziale, lo scioglimento della comunione decorre dalla data del provvedimento con cui i coniugi sono autorizzati dal Tribunale a vivere separati, solitamente emesso all’esito dell’udienza presidenziale.
Si ricorda l’orientamento prevalente della Corte di Cassazione sul punto.
“Omissis …Va ribadito che il passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale (o l’omologazione di quella consensuale), che rappresenta il fatto costitutivo del diritto ad ottenere lo scioglimento della comunione legale dei beni, non è condizione di procedibilità della domanda giudiziale di scioglimento della comunione legale e di divisione dei beni, ma condizione dell’azione. Conseguentemente, la domanda [di divisione n.d.r.] è proponibile nelle more del giudizio di separazione personale, essendo sufficiente che la suddetta condizione sussista al momento della pronuncia (Sez. 1, Sentenza n. 4757 del 26/02/2010). D’altra parte, è noto che il nuovo art. 191 c.c., comma 1, (come modificato dalla L. 6 maggio 2015, n. 55, art. 2 con decorrenza dal 26 maggio 2015 ed applicazione ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della suddetta legge, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data) prevede che nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato”(Cass. civ. Sent. del 02/02/2016, n. 1963).
Da questo momento, quindi, ogni acquisto che ciascun coniuge compirà resterà di sua esclusiva proprietà. Invece, sui beni precedentemente facenti parte della comunione legale, si instaura il comune regime di comunione ordinaria.
Per una consulenza specifica che tenga conto del caso concreto in materia di procedimento di separazione personale dei coniugi e/o per valutare, quindi, gli effetti della domanda di separazione sul regime patrimoniale della famiglia e, in generale, per altre questioni in materia di diritto di famiglia o di diritto civile, si invita a prendere un appuntamento in Studio.
*** Contenuto creato dall’Autore prima dell’entrata in vigore del
Decreto legislativo 10/10/2022, n. 149 [ Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata].
Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 ottobre 2022, n. 243
*** Contenuto creato dall’Autore prima dell’entrata in vigore del
Decreto legislativo 10/10/2022, n. 149 [ Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata].
Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 ottobre 2022, n. 243
L’Avv. Chiara Pollini opera nel proprio Studio Legale in provincia di Firenze, nel Comune di Sovigliana-Vinci, a pochi passi dal centro città di Empoli. L’Avv. Chiara Pollini, occupandosi sin dall’inizio della propria attività professionale di diritto di famiglia, assiste i propri Clienti nei procedimenti di divorzio congiunto, divorzio tramite procedura di negoziazione assistita e nei procedimenti di divorzio giudiziale.
Nell’ambito della specifica materia divorzile, tra le disparate questioni che, nel singolo caso concreto, attengono al divorzio tra i coniugi, l’assegno divorzile rappresenta, assieme al mantenimento dei figli, quella di maggiore interesse.
Con la cessazione degli effetti civili del matrimonio, può essere concordato (nel divorzio congiunto o in via di negoziazione assistita) o disposto dal Giudice (nel divorzio giudiziale) che una parte corrisponda all’altra un importo, solitamente mensile, a titolo di contributo economico, secondo i criteri stabiliti dall’art. 5 della Legge n.898/1970, poi modificata dalla Legge n.74/1987. Tale riconoscimento economico viene stabilito, secondo la lettera della legge, “tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
Il dettato legislativo è stato oggetto di copiosa giurisprudenza di merito e di legittimità che ha interpretato variamente i criteri di determinazione dell’assegno divorzile nel corso dei decenni, cercando di modellare l’assegno di divorzio (o, meglio, i requisiti per ottenerlo) ai cambiamenti socioculturali del tempo e portando, quindi, a più indirizzi interpretativi.
In tempi più recenti, la Sentenza della Corte di Cassazione n.18287/2018 ha fornito chiarimenti sui presupposti del diritto all’assegno divorzile, risolvendo i contrasti interpretativi formatisi sul punto. In particolare, come già detto in un precedente articolo, l’assegno è venuto ad assumere una funzione, non soltanto assistenziale in favore del coniuge economicamente svantaggiato, ma, al tempo stesso, una funzione compensativa e perequativa.
Nel mutato quadro dei presupposti da valutare ai fini di stabilire l’esistenza del diritto all’assegno divorzile in capo al richiedente (l’AN della pretesa all’assegno divorzile) e, poi, la misura dell’assegno (il QUANTUM dell’importo periodico), in caso divorzio giudiziale in particolare, è essenziale – ai fini dell’accoglimento della domanda giudiziale dell’assegno – disporre e predisporre puntualmente i mezzi istruttori.
È, infatti, la medesima Corte di Cassazione, nella citata Sentenza n.18287/2018, a ricordare che è logicamente prioritario rispetto ad ogni altra valutazione in tema di diritto all’assegno divorzile, l’accertamento – la prova, quindi – delle condizioni economiche di entrambe le parti.
Per molti anni, il Giudice ha preso in considerazione essenzialmente il reddito del richiedente in quanto, stando alla lettera della norma, quello dei coniugi che riteneva di avere diritto all’assegno di divorzio doveva provare di non disporre di “mezzi adeguati”.
Oggi, invece, ciascuna parte – non più soltanto quella richiedente l’assegno divorzile – dovrà provare la propria condizione economica nel complesso (redditi e globale entità dei rapporti/cespiti patrimoniali) per consentire al Giudice il confronto delle posizioni patrimoniali dei coniugi.
La Corte di Cassazione, infatti, nella famosa Pronuncia a Sezioni Unite del 2018 ha chiarito che “Posto che l’assegno divorzile svolge una funzione non solo assistenziale, ma in pari misura anche perequativa e compensativa, continuando ad operare i principî di eguaglianza e di solidarietà di cui agli artt. 2 e 29 Cost., e che il diritto al riguardo del richiedente va accertato unitariamente, senza una rigida contrapposizione tra la fase attributiva (an debeatur) e quella determinativa (quantum debeatur), il giudice:
a) procede, anche a mezzo dell’esercizio dei poteri ufficiosi, alla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti;
b) qualora ne risulti l’inadeguatezza dei mezzi del richiedente, o comunque l’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, deve accertarne rigorosamente le cause, alla stregua dei parametri indicati dall’art. 5, 6°comma, prima parte, L. n. 898/70, e in particolare se quella sperequazione sia o meno la conseguenza del contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all’età dello stesso e alla durata del matrimonio;
c) quantifica l’assegno senza rapportarlo né al pregresso tenore di vita familiare, né al parametro della autosufficienza economica, ma in misura tale da garantire all’avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato”.
Il raffronto tra le condizioni patrimoniali del coniuge richiedente l’assegno divorzile e del coniuge che sarà obbligato al pagamento è operazione preliminare per il Giudice, indispensabile per decidere sull’esistenza e sulla quantificazione del diritto all’assegno: tanto è vero che la Corte di Cassazione, a tal fine, ha valorizzato l’importanza e l’efficacia dei poteri istruttori ufficio dell’Autorità. Concretamente, ciò fa sì che il Giudice del divorzio giudiziale inviti le parti a produrre documenti fiscali, amministrativi e/o variamente attinenti il patrimonio o i redditi, anche quando non siano spontaneamente stati allegati. Inoltre, si ricorda che il Giudice dispone sempre dei poteri di indagine tributaria, sebbene il ricorso a questi sia discrezionale.
Seppure alla luce dei chiarimenti forniti dalla Sentenza delle Sez. Unite, è comunque opportuno, nel divorzio giudiziale, che la parte richiedente l’assegno ricostruisca, con diligente iniziativa, in maniera più fedele possibile, la propria situazione economica e, al contempo, che documenti al Giudice – con prove scritte e/o altrimenti certe – le ragioni per le quali la posizione patrimoniale della controparte è migliore ed economicamente più solida della propria, agevolando la formazione del convincimento del Giudice.
A tale fine, si ricorda che alla parte in causa (il soggetto privato) è stato riconosciuto diritto di accesso ex L. 241/1990 ai documenti reddituali e patrimoniali del consorte, in possesso dalla Agenzia delle Entrate e che tali documenti dovranno essere consegnati dall’Ente anche senza autorizzazione del Giudice in quanto effettivamente disponibili negli archivi finanziari (TAR Campania, n.5763 del 2018).
Infine, il richiedente l’assegno divorzile dovrà fornire prova che la propria condizione di inferiorità patrimoniale rispetto alla posizione del coniuge economicamente più forte sia stata causata da scelte compiute in costanza di matrimonio, nell’ottica dell’interesse familiare comune e della solidarietà coniugale.
Per una valutazione preliminare sul diritto a richiedere l’assegno di divorzio, per chiarimenti sul singolo caso concreto della crisi familiare e dei possibili strumenti di tutela giudiziaria e/o di risoluzione alternativa della controversia (divorzio congiunto, negoziazione assistita) è possibile prendere un appuntamento in Studio, una consulenza da remoto in video call, o richiedere un parere online ai contatti e con le modalità indicate nel sito internet.
*** Contenuto creato dall’Autore prima dell’entrata in vigore del
Decreto legislativo 10/10/2022, n. 149 [ Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata].
Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 ottobre 2022, n. 243
L’Avv. Chiara Pollini svolge la propria attività professionale nel proprio Studio Legale in provincia di Firenze, nel Comune di Sovigliana-Vinci, in prossimità del centro storico della confinante città di Empoli.
L’Avv. Chiara Pollini, formatosi come avvocato civilista, si occupa di procedimenti di separazione e divorzio.
Lo Studio Legale Avv. Chiara Pollini segue, inoltre, i propri assistiti anche nelle fasi successive alla separazione dei coniugi e al divorzio, che possono sfociare nei procedimenti di modifica o revoca delle condizioni di separazione e di modifica o revoca delle condizioni di divorzio.
Le condizioni della separazione, sia essa stata consensuale o giudiziale, sono infatti modificabili in ogni tempo, purché a causa di sopraggiunti nuovi fatti.
Si precisa che non può essere modificata la separazione personale dei coniugi, intesa come pronuncia della separazione, ovvero come “dichiarata interruzione” della vita matrimoniale da parte del Tribunale.
Infatti, gli effetti del provvedimento di separazione possono venire meno soltanto in caso di riconciliazione tra marito e moglie. Non può essere oggetto di modifica o revoca delle condizioni di separazione neppure la parte del dichiarato addebito della separazione.
Similmente, per quanto concerne l’avvenuto divorzio, il capo della sentenza che pronuncia il divorzio non può essere modificato. Ciò che può essere modificato è, invece, l’assetto degli interessi economici delle parti e la regolamentazione dei rapporti genitoriali e dei rispettivi obblighi di mantenimento riguardanti figli. Ciò, a condizione che vi siano giustificati motivi.
Pertanto, ciascun coniuge (o ex coniuge, in caso di modifica/revoca delle condizioni di divorzio) può prendere l’iniziativa e rivolgersi, tramite il proprio avvocato civilista al Tribunale competente. Ciascun coniuge, quindi, potrà chiedere, tramite gli strumenti processuali che il diritto di famiglia offre, la modifica o la revoca delle condizioni riguardanti il mantenimento del coniuge e/o dei figli, la modifica della regolamentazione dei rapporti genitoriali, del collocamento prevalente dei figli, nonché dell’affidamento
(ricorrendone le specifiche condizioni). Può esser chiesta, tra l’altro, anche la revoca della assegnazione della casa coniugale.
I fatti nuovi – sopraggiunti – che legittimano – essi soltanto – la proposizione del ricorso diretto alla modifica o revisione delle condizioni di separazione (o divorzio) sono, nella casistica più frequente, i seguenti:
Pertanto, anche successivamente alla pronuncia della separazione (o del divorzio), quindi, ricorrendo al Tribunale competente con ricorso avente ad oggetto la modifica/revoca delle condizioni di separazione (o revisione di quelle del divorzio), la parte richiedente potrà vedere riconosciuto il diritto all’assegno di mantenimento. Oppure, la parte avente diritto potrà vedere l’importo dell’assegno di mantenimento modificato nella sua quantificazione, quando venga provato il peggioramento della condizione economica del richiedente, ovvero quando venga provato sensibile miglioramento della condizione economica della parte obbligata.
La Legge n.898/1970 stabilisce genericamente che richiesta di revisione delle condizioni stabilite in sede di divorzio può essere chiesta quando sopraggiungano “giustificati motivi”. Questi, similmente a quanto previsto nel procedimento di modifica delle condizioni assunte con la separazione, consistono in fatti nuovi ulteriori a quelli già conosciuti e valutati dal Giudice al momento del divorzio e il cui – successivo – accadimento ha comportato un cambiamento nell’assetto degli interessi e dei diritti come regolamentato nella Sentenza di divorzio.
I fatti che costituiscono i “giustificati motivi” devono essere provati dal soggetto richiedente la revisione, sul quale ricade l’onere della prova.
Concretamente i “giustificati motivi” consistono nei medesimi fatti storici sopra elencati che legittimano la proposizione dell’istanza di modifica delle condizioni di separazione. Infatti, solitamente, riguardano: la revisione della quantificazione dell’assegno di mantenimento periodico in favore dei figli; la revoca e/o revisione dell’assegno divorzile. Per giustificati motivi inoltre potrà, a titolo meramente esemplificativo, chiedersi la modifica della regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, oppure, in caso di comprovato comportamento pregiudizievole di un genitore, la modifica dell’affidamento condiviso dei figli.
Il procedimento di modifica/revoca delle condizioni di separazione (o di divorzio) richiede l’assistenza di un avvocato che redigerà il ricorso introduttivo del procedimento. Il procedimento di competenza del Tribunale in composizione collegiale ex art. 730 c.p.c. che, ove debba essere espletata fase istruttoria, delegherà un componente del Collegio. Similmente a quanto accade nei giudizi di separazione e divorzio contenziosi, quando il procedimento di modifica/revoca delle condizioni di separazione (o divorzio) non può trovare pronta soluzione, il Tribunale può assumere provvedimenti provvisori, modificabili nel corso del procedimento.
Alternativa alla procedura avanti il Tribunale, la Procedura di Negoziazione Assistita che consente alle parti, ciascuna con assistenza di un proprio avvocato di fiducia, di raggiungere un accordo sulle modifiche da apportare, senza recarsi di fronte al Giudice e con risparmio di tempo e oneri.
Infine, ma non meno importante, ove praticabile, le parti possono – senza assistenza legale – recarsi avanti l’Ufficiale di Stato Civile del Comune di residenza di uno dei due (ex coniugi) o del luogo in cui è stato trascritto l’atto di matrimonio, il quale provvederà a redigere l’accordo secondo la manifestata volontà delle parti. Si ricorda, per completezza, che per quest’ultima procedura, la Legge richiede che non vi siano figli minorenni, incapaci, portatori di handicap gravi o economicamente non autosufficienti (i quali potrebbero non essere adeguatamente garantiti da quest’ultima più snella procedura).
Per approfondimenti sulle eventuali possibilità di accoglimento, ovvero di rigetto, della domanda di modifica/revoca delle condizioni di separazione o di revisione delle condizioni di divorzio nel Vostro caso concreto, nonché per consulenze in materia di diritto di famiglia, è possibile prendere un appuntamento in Studio o richiedere un parere online ai contatti e con le modalità indicate nel sito internet.
*** Contenuto creato dall’Autore prima dell’entrata in vigore del
Decreto legislativo 10/10/2022, n. 149 [ Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata].
Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 ottobre 2022, n. 243
L’Avv. Chiara Pollini opera nel proprio Studio Legale in provincia di Firenze, nel Comune di Sovigliana-Vinci, a pochi passi dal centro città di Empoli. Lo Studio si occupa, tra l’altro, di diritto di famiglia e di procedimenti di separazione e divorzio dei coniugi.
L’addebito della separazione è da sempre questione di particolare importanza nel contesto di una crisi coniugale. Per sommi capi, in un precedente articolo del blog, sono stati già illustrati i requisiti per richiedere l’addebito della separazione all’altro coniuge, requisiti che qui troveranno ulteriore approfondimento.
La domanda di addebito può essere svolta dal coniuge richiedente la separazione nel ricorso introduttivo, oppure dal coniuge che è stato citato in giudizio all’atto della propria costituzione con domanda riconvenzionale. Inoltre, la Giurisprudenza più recente ha ritenuto la domanda di addebito della separazione ammissibile anche nella memoria integrativa ex art. 709 comma III c.p.c., valorizzando la natura bifasica della separazione giudiziale.
La prova dell’addebito deve essere fornita dal coniuge richiedente e, solitamente, a tal fine viene addotto l’allontanamento dell’altro coniuge dalla casa coniugale. Tuttavia, di per sé, l’allontanamento volontario dalla casa coniugale può non bastare, in quanto la prova dell’addebito della separazione coniugale richiede che si dimostri al Giudice che la causa della crisi coniugale è imputabile – con rapporto causa/effetto – unicamente ed esclusivamente alla condotta dell’altro coniuge contraria ai doveri nascenti dal matrimonio.
L’abbandono del tetto coniugale è, dunque, sicuramente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio, tuttavia, se quello dei coniugi che si è allontanato da casa fornisce adeguata prova di averlo fatto per giusta causa, dedurre in giudizio l’abbandono del tetto coniugale non sarà sufficiente ad ottenere l’addebito della separazione.
La stessa infedeltà coniugale, di per sé, può quindi non bastare a vedere accolta la domanda di addebito della separazione, qualora il coniuge che è stato infedele riesca a dimostrare che la causa della crisi coniugale è individuabile in un diverso ulteriore fattore, quest’ultimo ascrivibile alla condotta o allo stile di vita dell’altro. Dunque, le più comuni ragioni delle richieste di addebito della separazione, cioè “abbandono del tetto coniugale” e “infedeltà”, rappresentano comportamenti che il Giudice valuterà attentamente, indagando il nesso di causalità tra quelli e l’intollerabilità della convivenza, ovvero tra quelli e la crisi coniugale nel suo complesso.
Qualora il Giudice si convinca che una parte ha tenuto una condotta contraria ai doveri matrimoniali, sarà onere del coniuge, cui è imputata tale violazione, fornire la prova della giusta causa del proprio comportamento. Se questa prova non è fornita, al coniuge che ha violato i doveri nascenti dal matrimonio sarà addebitata la separazione per avere causato la crisi definitiva del matrimonio.
I casi affrontati in Giurisprudenza sono i più svariati, a conferma che la richiesta di addebito della separazione deve esser prudentemente svolta dall’avvocato che si occupa di separazioni giudiziali, in quanto è fondamentale circostanziare e provare la condotta in violazione dei doveri coniugali e il nesso di causa/effetto.
La più importante conseguenza della Sentenza che pronuncia la separazione con addebito importa che al coniuge -al quale la separazione viene addebitata- non possa essere riconosciuto il diritto al mantenimento (art.156 co.1 c.c.), pur mantenendo il diritto agli alimenti, ove ne ricorrano i presupposti.
Tra le conseguenze dell’addebito della separazione vi è la perdita dei diritti successori nei confronti dell’altro coniuge (art. 548 co.2 c.c.), salvo diritto ad un assegno vitalizio a carico dell’eredità alla condizione che già gli fosse riconosciuto il diritto agli alimenti.
Altra eventuale conseguenza dell’addebito della separazione (le domande di regola sono svolte contestualmente, sebbene siano giuridicamente autonome e distinte) può essere il diritto al risarcimento del danno conseguente la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio che si sia concretizzata in una violazione dei diritti fondamentali della persona (del coniuge a cui la separazione non è stata addebitata). I casi giurisprudenziali concernono tre fattispecie di fatto: richiesta di risarcimento danni in caso di separazione per violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale; richiesta di risarcimento danni in caso di separazione per violazione degli obblighi di assistenza e solidarietà tra i coniugi e, infine, richiesta di risarcimento danni in caso di separazione per mancata conoscenza delle condizioni di salute psicofisiche e/o sessuali dell’altro coniuge.
Si precisa che dall’accoglimento della richiesta di addebito della separazione non discende automaticamente anche il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno che, come sopra accennato, costituisce una diversa e ulteriore domanda che il Giudice sottoporrà a ulteriore e diverso accertamento, in base alle prove fornite dal richiedente circa il rapporto di causa/effetto tra la violazione dei doveri coniugali e la lamentata lesione dei diritti della persona.
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