*** Contenuto creato dall’Autore prima dell’entrata in vigore del
Decreto legislativo 10/10/2022, n. 149 [ Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata].
Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 ottobre 2022, n. 243
L’Avv. Chiara Pollini opera nel proprio Studio Legale in provincia di Firenze, nel Comune di Sovigliana-Vinci, a meno di un chilometro dal centro città di Empoli ed è facilmente raggiungibile anche dal vicino Comune di Capraia-Limite e da Montelupo Fiorentino.
L’Avv. Chiara Pollini nel proprio Studio Legale si occupa prevalentemente di diritto civile, dedicandosi con continuità, tra l’altro, alle questioni che riguardano il diritto di famiglia.
Nell’ambito del diritto di famiglia, negli ultimi anni, presumibilmente a causa della crisi economica generale, si è tornati a sottoporre all’avvocato casi aventi ad oggetto la richiesta di alimenti, non soltanto da parte del coniuge all’altro coniuge, ma anche da parte di altri componenti del nucleo familiare tra loro (richiesta di alimenti di genitori ai figli, richiesta di alimenti tra fratelli e così via).
Possono chiedere gli alimenti i soggetti di cui all’art. 438 c.c.:
secondo un vero e proprio ordine gerarchico in base alla “vicinanza” del vincolo familiare. L’elenco dei soggetti obbligati a prestare gli alimenti è tassativo e l’alimentando si deve rivolgere all’obbligato più prossimo e, solo in caso di impossibilità di questi, procedere con gli obbligati di grado più remoto.
Vediamo, allora, a chi si può chiedere di prestare gli alimenti. Nell’ordine: al coniuge, ai figli, ai genitori, generi e nuore, suocero e suocera, fratelli/sorelle. Se il coniuge o i figli non ci sono e non ci sono neppure altri discendenti, oppure se essi non possono prestare gli alimenti, il familiare – che dimostri di essere in stato di bisogno – potrà rivolgere la domanda, in via subordinata, agli altri componenti della famiglia.
Il diritto agli alimenti è strettamente personale: legittimato a proporre la domanda al Giudice è colui che si trova in stato di bisogno, personalmente o tramite il proprio rappresentante legale. Ulteriore conseguenza è che l’obbligazione si estingue con la morte dell’avente diritto, nonché con la morte dell’obbligato al pagamento.
Il diritto agli alimenti è incedibile: di conseguenza, non sono ammissibili rinuncia (ma ovviamente è legittimo il mancato esercizio del diritto) né transazione. Esso è imprescrittibile (mentre si prescrivono in cinque anni le annualità scadute, a norma dell’ art. 2948, n. 2), impignorabile, tranne che per causa di alimenti (art. 545 c.p.c.) e quindi insequestrabile (art. 671 c.p.c.) e non entra nella massa fallimentare.
Tale contributo alla somministrazione di alimenti entro la famiglia – obbligo alimentare – è giuridicamente diverso e più limitato rispetto al concetto di “mantenimento” ricorrente nelle procedure di separazione e divorzio.
Infatti, chi è obbligato a pagare gli alimenti è tenuto a far fronte soltanto a quanto al familiare avente diritto è necessario per vivere. Chi è obbligato al mantenimento, invece – e l’obbligazione, come detto, rileva nelle controversie in materia di separazione e di divorzio, nei rapporti tra coniugi e nei rapporti tra genitori e figli – è obbligato a un contributo più ampio.
Il contributo al mantenimento del coniuge e/o dei figli corrisponde a una somma di denaro finalizzata a soddisfare tutte le esigenze di vita dell’avente diritto, a prescindere dallo stato di bisogno di quest’ultimo.Dei requisiti per la richiesta di assegno di mantenimento, nelle procedure di separazione e divorzio, consensuali o contenziose, si è già trattato in altri articoli del blog.
I presupposti oggettivi per l’esistenza del diritto agli alimenti sono lo stato di bisogno dell’avente diritto – e la conseguente incapacità di provvedere al proprio mantenimento – nonché la capacità economica dell’obbligato.
Il concetto di stato di bisogno, secondo l’opinione prevalente, va riferito alla mancanza dei mezzi necessari a soddisfare i bisogni primari dell’individuo: ciò si verifica non solo quando il soggetto è privo dei mezzi di sussistenza, ma anche quando manca di ciò che consente di condurre una vita dignitosa.
Si è detto che il diritto agli alimenti è diverso dal diritto al mantenimento del coniuge e dal diritto al mantenimento dei figli dato che, nelle controversie in materia di separazione e di divorzio e, in generale, nei rapporti tra genitori e figli, l’obbligazione al mantenimento ha un contenuto più ampio e completo rispetto all’obbligo di prestare gli alimenti in quanto è finalizzato a garantire le esigenze della vita della persona complessivamente considerate.
Infatti, qui detto in estrema sintesi, chi è obbligato a pagare gli alimenti ad un familiare in stato di bisogno è tenuto a far fronte soltanto a quanto all’avente diritto agli alimenti è necessario per vivere.
Così si è espressa la Corte di Cassazione nell’orientamento del 2013:
Posto, dunque, che il diritto agli alimenti è limitato a garantire quanto necessario per vivere, considerando la posizione sociale dell’avente diritto, la pretesa dell’alimentando potrà essere soddisfatta, sia a mezzo il pagamento di una somma periodica, sia in maniera diretta, cioè accogliendo e mantenendo la persona che ne ha diritto presso l’abitazione dell’obbligato medesimo. Sarà il Giudice, a seconda delle concrete circostanze, a valutare e stabilire le modalità di somministrazione degli alimenti nel caso concreto, nell’esercizio del proprio potere discrezionale.
Chi versa in stato di bisogno dovrà rivolgersi al Tribunale e proporre azione giudiziale mirata al riconoscimento del proprio diritto. Chi versa in stato di bisogno potrà, ove ne ricorrano i requisiti di reddito, eventualmente richiedere di essere ammesso al Patrocinio a spese dello Stato per essere assisto da un avvocato, nella causa avente ad oggetto la domanda di pagamento degli alimenti, senza anticipare le spese legali (che, appunto, saranno pagate all’avvocato direttamente dallo Stato).
Nel proporre domanda di pagamento degli alimenti, ove secondo l’art. 433 c.c. citato vi siano più soggetti tenuti agli alimenti del medesimo grado di parentela, questi saranno dichiarati tutti obbligati verso il beneficiario, ma ciascuno in proporzione alle proprie condizioni economiche (art. 411 primo comma c.c.).
Sarà il Giudice, in caso di disaccordo tra più coobbligati, a decidere sulla ripartizione del contributo e sulle concrete modalità di prestazione. Il soggetto coobbligato potrà opporsi fondatamente alla richiesta di pagamento di alimenti presentata da un familiare soltanto dimostrando al Giudice di non avere adeguate risorse per sostenere l’obbligo.
Ciò significa che, a fronte di una richiesta di alimenti avanzata, per fare un esempio, da un genitore ai figli, i figli saranno entrambi dichiarati obbligati dal Giudice, ma ciascuno in base alla concreta possibilità di farvi fronte, dovendo valutarsi e compararsi la rispettiva capacità patrimoniale dei figli.
Nel corso del tempo, la prestazione alimentare può essere soggetta a variazioni in base ai requisiti di legge: cioè, se varia la condizione di stato di bisogno del beneficiario e/o se cambiano le possibilità economiche dell’obbligato. Può quindi essere aumentata, ridotta o cessare per decisione del giudice, sempre su istanza della parte interessata.
L’obbligazione alimentare può estinguersi per vari motivi:
Si ricorda anche che violare l’obbligo di assistenza familiare può integrare condotta di reato. Infatti, ai sensi dell’art. 570 II comma, n.2 c.p. è specificamente punita l’omessa prestazione dei mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, o inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge non legalmente separato.
I casi concreti sono vari e molteplici. Ad esempio, l’assegno alimentare può essere disposto dal Giudice come obbligazione in capo ai genitori verso i figli maggiorenni, magari non più conviventi, quando questi ultimi sono disoccupati e, anche in età più matura, incapaci per comprovati motivi di trovare lavoro. Oppure, ancora a titolo puramente esemplificativo, possono crearsi veri e proprio conflitti tra fratelli (o nipoti) su chi debba farsi carico di un genitore (o di uno zio) e su chi – e in quale misura – debba sostenere le relative spese di eventuali badanti o strutture di degenza.
In casi come questi, potrebbe essere opportuno rivolgersi ad un legale per conoscere quali sono i familiari obbligati a pagare gli alimenti e in che modo e misura possono essere eventualmente obbligati a somministrarli all’avente diritto.
Per una consulenza specifica sulla possibilità di chiedere gli alimenti ex art. 433 c.c., o sull’obbligo di pagare il contributo alimentare in favore di un familiare e, in generale, per altre questioni in materia di diritto di famiglia o di diritto civile, si invita a prendere un appuntamento in Studio.
*** Contenuto creato dall’Autore prima dell’entrata in vigore del
Decreto legislativo 10/10/2022, n. 149 [ Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata].
Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 ottobre 2022, n. 243
L’Avv. Chiara Pollini opera nel proprio Studio Legale in provincia di Firenze, nel Comune di Sovigliana-Vinci, a pochi passi dal centro città di Empoli. Lo Studio si occupa, tra l’altro, di diritto di famiglia e diritto civile.
Nei casi di studio, con riguardo al diritto di famiglia in modo particolare, sovente ci si trova a rispondere alle domande dei propri Clienti che, in assoluta buona fede e nell’ottica di voler tutelare i figli e la famiglia, desiderano costituire un fondo patrimoniale sulla casa familiare e/o su altri beni.
Il parere legale dell’avvocato che si occupa di diritto di famiglia e di diritto civile, avente oggetto il fondo patrimoniale, finisce molto spesso per disilludere il Cliente, rendendolo chiaramente consapevole delle specifiche e mirate finalità giuridiche del fondo patrimoniale e della conseguente inattaccabilità relativa dei beni vincolati dal fondo medesimo.
Sebbene l’istituto abbia quale primario effetto quello di porre un vincolo su determinati beni – creando, quindi, un “patrimonio separato” cioè astrattamente inattaccabile/inespropriabile dai creditori particolari dei coniugi – è bene illustrare al Cliente che non sempre il fondo patrimoniale sarà opponibile a tutti i creditori indistintamente.
Sia che i coniugi intendano affrontare la questione del fondo patrimoniale in occasione della loro imminente separazione, sia che la costituzione del fondo patrimoniale si renda opportuna, a prescindere dalla crisi coniugale, per tutelare la famiglia da possibili azioni esecutive di creditori, dovranno essere tenute in considerazione tanto le norme che disciplinano l’istituto del fondo patrimoniale (artt. 167/171 c.c.) che la recente Giurisprudenza.
Sarà, quindi, opportuno valutare con l’avvocato, prima di costituire il fondo patrimoniale e onde non incorrere in inutili spese per l’atto pubblico, le contingenti obbligazioni patrimoniali già in essere e l’attuale assetto degli interessi economici dei coniugi e dei figli.
Il parere legale dell’avvocato civilista avente ad oggetto il fondo patrimoniale sarà, dunque, finalizzato ad accertare la convenienza economica effettiva della costituzione del fondo e la tutela che il fondo patrimoniale potrà – o non potrà – concretamente garantire alla famiglia rispetto a debiti preesistenti e/o sopravvenienti.
Vi è, infatti, un limite all’esecuzione forzata sui beni vincolati dal fondo patrimoniale: essi non sono aggredibili dai creditori per debiti che i creditori medesimi sapevano essere estranei all’interesse e ai bisogni della famiglia, salvo che il fondo sia stato costituito in danno ai creditori stessi.
Al contrario, il creditore potrà rivalersi – quindi pignorare – un bene inserito nel fondo patrimoniale se il debito rimasto impagato è stato contratto per i bisogni della famiglia: a nulla valendo, quindi, in questo caso l’esistenza del fondo patrimoniale.
La ratio dell’istituto è evidente: garantire l’esistenza di un patrimonio a tutela (soltanto) degli specifici bisogni della famiglia.
Orbene, il significato del requisito “bisogni della famiglia”, concettualmente pacifico nella giurisprudenza, è in concreto delineato, di volta in volta, dal Giudice di Merito che, progressivamente, ne ha eroso i confini al punto che, ad oggi, esulano dal concetto di “bisogni della famiglia”, in buona sostanza, soltanto le spese meramente superflue e voluttuarie e quelle speculative.
La ratio dell’istituto, quindi, più specificamente, è quella di garantire al bene conferito nel fondo patrimoniale una inespropriabilità relativa rispetto ai creditori dei coniugi che vantino obbligazioni contratte per scopi estranei ai bisogni familiari.
Il parere legale avente oggetto il fondo patrimoniale chiarirà, infatti, al Cliente che anche l’attività lavorativa dei membri della famiglia è considerata dalla giurisprudenza prevalente funzionale ai bisogni della famiglia e alla sua crescita economica e, di conseguenza, funzionale all’interesse della famiglia. Da ciò deriva che il coniuge, indebitatosi per ragioni attinenti la propria attività lavorativa, non potrà evitare che il creditore aggredisca i beni vincolati dal fondo patrimoniale.
E’ il caso dell’imprenditore individuale che, dopo aver costituito il fondo patrimoniale, contrae un debito con una banca perché necessità di liquidità per la propria ditta dalla quale, si presume, egli tragga il reddito di sostentamento per la propria famiglia.
In caso di mancato pagamento del finanziamento, il creditore potrà aggredire i beni vincolati da fondo patrimoniale.
Per paralizzare la pretesa del creditore, l’imprenditore individuale dovrà provare, nel corso del giudizio, che il debito contratto con la banca era estraneo all’interesse della propria famiglia.
Se il fondo è stato costituito allo scopo, o ha per effetto, di sottrarre determinati beni alla garanzia del credito, i creditori potranno ricorrere all’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.) per rendere inopponibile e inefficace il vincolo nei loro confronti.
In caso di debito sorto prima della costituzione del fondo patrimoniale, è sufficiente che i creditori dimostrino che il debitore era consapevole di poter danneggiare l’interesse al recupero del credito. Occorrerà anche dimostrare che il patrimonio residuo del debitore è insufficiente a soddisfare le ragioni creditorie.
In caso di debito sorto dopo la costituzione del fondo patrimoniale, i creditori dovranno dimostrare l’intenzione di nuocere ai loro interessi, cioè l’intento fraudolento. Cioè, se l’atto di costituzione del fondo è anteriore rispetto all’indebitamento, il creditore, allo scopo di rendere inefficace nei suoi confronti il fondo patrimoniale, dovrà dimostrare oltre alla scientia damni anche l’esistenza dell’intento fraudolento del debitore.
Per ulteriori informazioni sulla costituzione del fondo patrimoniale nell’interesse della famiglia, per consulenze in materia di diritto di famiglia e/o di diritto civile, è possibile prendere un appuntamento in Studio o richiedere un parere online ai contatti indicati nel sito internet.