*** Contenuto creato dall’Autore prima dell’entrata in vigore del
Decreto legislativo 10/10/2022, n. 149 [ Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata].
Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 ottobre 2022, n. 243
L’Avv. Chiara Pollini opera nel proprio Studio Legale in provincia di Firenze, nel Comune di Sovigliana-Vinci, raggiungibile in pochi minuti a piedi dal centro città di Empoli. L’Avv. Chiara Pollini si occupa, tra l’altro, di diritto di famiglia e, con particolare attenzione, segue i propri assistiti nelle procedure di separazione e divorzio, congiunti o giudiziali (contenziosi).
Al momento della separazione tra i coniugi, sia essa consensuale o giudiziale, il mantenimento dei figli è argomento di primaria importanza e, spesso, rappresenta la ragione del più aspro scontro tra i coniugi. La maggiore ragione di lite, quindi, deve essere affrontata rendendo la parte assistita edotta sugli obblighi dei genitori e conseguentemente sulla adeguatezza o meno della pretesa economica che il genitore richiedente il mantenimento intende far valere.
In primo luogo, come spiegato in un precedente articolo del blog, l’obbligo di mantenimento dei figli, previsto dalla Costituzione (art.30) sussiste per entrambi i genitori in base alle rispettive sostanze. In secondo luogo, la contribuzione di ciascun genitore al mantenimento dei figli (minori o non economicamente auto sufficienti) impone, ex art. 147 c.c., di far fronte a svariate esigenze della prole.
Il mantenimento dei figli, pertanto, è obbligo ben diverso e assai più ampio dell’obbligo alimentare. Sono molteplici e variegate le abitudini ed esigenze dei figli (ludiche, ricreative, sportive …) che possono diventare fonte di vivace litigio tra i coniugi al momento della separazione (e similmente, al momento del successivo divorzio).
Tutte le necessità dei figli minori – o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti – potrebbero, infatti, astrattamente confluire nel più ampio concetto di obbligo di mantenimento salvo, però, declinarsi, nella quantificazione che dell’assegno verrà compiuta dal Giudice, nella partizione tra “spese ordinarie” e “spese straordinarie” – o, più correttamente, “spese prevedibili” e “spese non prevedibili” – con risvolti economici differenti.
Infatti, l’assegno mensile di mantenimento dei figli comprende soltanto le spese considerate “ordinarie” e “prevedibili” che il genitore affronta periodicamente per il figlio. È quindi fondamentale poter illustrare alla parte assistita, con quanta più precisione possibile, l’elencazione di tale tipologia di spese; in quanto la somma – mensile – che sarà corrisposta per il mantenimento dei figli dovrà (pro quota!) essere congrua per affrontarle.
Spesso all’Avvocato che si occupa di separazione e divorzi viene richiesta consulenza dal genitore che intende presentare all’altro, coobbligato al mantenimento del figlio, scontrini e ricevute di spesa per l’acquisto di capi di abbigliamento per i figli minorenni e ne pretende, appunto, il rimborso pro quota. Sovente, lamentando proprio che il genitore obbligato al pagamento dell’assegno mensile in favore del figlio negherebbe al minore “le piccole spese normali”. Durante tali consulenze in materia di mantenimento dei figli, deve quindi essere ben chiarito che, salvo espresse e motivate eccezioni, il vestiario è considerato, dalla maggior parte dei Tribunali, una spesa ordinaria e, conseguentemente, non può esserne chiesta quota parte di rimborso all’altro genitore (a meno che questi, spontaneamente, intenda partecipare all’acquisto).
Si intuisce, quindi, come la distinzione tra spese ordinarie e spese straordinarie in favore dei figli può essere superata soltanto per comune volontà dei genitori e come, a tal fine, ciò possa utilmente avvenire soltanto nell’accordo della separazione consensuale (ovvero del divorzio congiunto). In questa sede infatti, i genitori possono stilare un elenco di spese che (pur prevedibili, abituali, ordinarie che dir si voglia) può comprendere tutto ciò che i genitori desiderano garantire al figlio e che non sarà coperto dell’assegno mensile di mantenimento. Soltanto in tale accordo per la separazione consensuale (similmente, nel divorzio congiunto), si possono inserire voci di spesa straordinaria – quindi extra assegno mensile di mantenimento – della più disparata natura: ad esempio, i costi periodici per sport agonistico, oppure i canoni di abbonamento a canali televisivi, abbigliamento, spese periodiche in centri estetici, fino alla “paghetta” settimanale.
Le spese straordinarie esuleranno, quindi, dal versamento periodico dell’assegno di mantenimento dei figli e saranno, pro quota, versate a parte a quello dei genitori che le abbia anticipate.
Se, però, i genitori non trovano un accordo che possa confluire nelle condizioni di separazione consensuale o di divorzio non contenzioso, è il Giudice che deve quantificare la somma da corrispondersi a titolo di concorso nel mantenimento dei figli minori, in base alle rispettive risorse economiche, da ciascuno dei genitori.
Nel far ciò, il Giudice si atterrà al più consolidato orientamento giurisprudenziale e dottrinale in materia e, ove possibile, ai documenti contenenti linee guida – “protocolli” – redatti presso i diversi Tribunali d’Italia – protocolli che, nello sforzo di fornire le risposte ai singoli casi concreti, nella circoscrizione di riferimento, rappresentano uno strumento imprescindibile per l’avvocato che si occupa di separazioni dei coniugi e di divorzi e di questioni di diritto di famiglia in genere che coinvolgono figli minori.
Volendo tirare le somme e avvicinarsi ad un criterio distintivo quanto più uniforme possibile, possiamo definire “spese straordinarie” quelle non ragionevolmente prevedibili, perché solitamente non rientranti nelle abitudini periodiche dei figli e/o non rientranti nelle loro normali, comuni, esigenze.
Esse sono spese che, al contempo, gravano sensibilmente sul tenore di vita della famiglia, ovvero spese che, per il loro valore, incidono sulle capacità patrimoniali del genitore obbligato. Questo principio è stato espresso dalla Corte di Cassazione nel 2012 ed è ormai consolidato nelle Sentenze di merito dei Tribunali.
Al contrario, le spese di esiguo importo, effettuate per esigenze ripetitive nella quotidianità del minore (a titolo soltanto esemplificativo, le ricariche del telefono cellulare del figlio, oppure il costo per il rifornimento del ciclomotore) e, in generale tutte le spese di importo relativamente modesto che occorrono nella ruotine familiare del minore, si considerano rientrare nelle spese “ordinarie” e, quindi, non potranno essere richieste all’altro genitore a titolo di spese straordinarie, dovendo essere sostenute con l’assegno mensile di mantenimento.
Lo Studio Legale Avv. Chiara Pollini si trova a Sovigliana-Vinci (Fi), in Viale Togliatti n.111, a pochi passi dal centro città di Empoli e, per ulteriori informazioni sull’obbligo di pagamento delle spese straordinarie in favore dei figli nei giudizi di separazione (o divorzio), Vi invita a per prendere un appuntamento in Studio o richiedere un parere online (i riferimenti sono nella sezione contatti).
*** Contenuto creato dall’Autore prima dell’entrata in vigore del
Decreto legislativo 10/10/2022, n. 149 [ Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata].
Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 ottobre 2022, n. 243
L’Avv. Chiara Pollini opera nel proprio Studio Legale in provincia di Firenze, nel Comune di Sovigliana-Vinci, a pochi passi dal centro città di Empoli. Lo Studio si occupa, tra l’altro, di diritto di famiglia e di procedimenti di separazione e divorzio dei coniugi.
L’addebito della separazione è da sempre questione di particolare importanza nel contesto di una crisi coniugale. Per sommi capi, in un precedente articolo del blog, sono stati già illustrati i requisiti per richiedere l’addebito della separazione all’altro coniuge, requisiti che qui troveranno ulteriore approfondimento.
La domanda di addebito può essere svolta dal coniuge richiedente la separazione nel ricorso introduttivo, oppure dal coniuge che è stato citato in giudizio all’atto della propria costituzione con domanda riconvenzionale. Inoltre, la Giurisprudenza più recente ha ritenuto la domanda di addebito della separazione ammissibile anche nella memoria integrativa ex art. 709 comma III c.p.c., valorizzando la natura bifasica della separazione giudiziale.
La prova dell’addebito deve essere fornita dal coniuge richiedente e, solitamente, a tal fine viene addotto l’allontanamento dell’altro coniuge dalla casa coniugale. Tuttavia, di per sé, l’allontanamento volontario dalla casa coniugale può non bastare, in quanto la prova dell’addebito della separazione coniugale richiede che si dimostri al Giudice che la causa della crisi coniugale è imputabile – con rapporto causa/effetto – unicamente ed esclusivamente alla condotta dell’altro coniuge contraria ai doveri nascenti dal matrimonio.
L’abbandono del tetto coniugale è, dunque, sicuramente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio, tuttavia, se quello dei coniugi che si è allontanato da casa fornisce adeguata prova di averlo fatto per giusta causa, dedurre in giudizio l’abbandono del tetto coniugale non sarà sufficiente ad ottenere l’addebito della separazione.
La stessa infedeltà coniugale, di per sé, può quindi non bastare a vedere accolta la domanda di addebito della separazione, qualora il coniuge che è stato infedele riesca a dimostrare che la causa della crisi coniugale è individuabile in un diverso ulteriore fattore, quest’ultimo ascrivibile alla condotta o allo stile di vita dell’altro. Dunque, le più comuni ragioni delle richieste di addebito della separazione, cioè “abbandono del tetto coniugale” e “infedeltà”, rappresentano comportamenti che il Giudice valuterà attentamente, indagando il nesso di causalità tra quelli e l’intollerabilità della convivenza, ovvero tra quelli e la crisi coniugale nel suo complesso.
Qualora il Giudice si convinca che una parte ha tenuto una condotta contraria ai doveri matrimoniali, sarà onere del coniuge, cui è imputata tale violazione, fornire la prova della giusta causa del proprio comportamento. Se questa prova non è fornita, al coniuge che ha violato i doveri nascenti dal matrimonio sarà addebitata la separazione per avere causato la crisi definitiva del matrimonio.
I casi affrontati in Giurisprudenza sono i più svariati, a conferma che la richiesta di addebito della separazione deve esser prudentemente svolta dall’avvocato che si occupa di separazioni giudiziali, in quanto è fondamentale circostanziare e provare la condotta in violazione dei doveri coniugali e il nesso di causa/effetto.
La più importante conseguenza della Sentenza che pronuncia la separazione con addebito importa che al coniuge -al quale la separazione viene addebitata- non possa essere riconosciuto il diritto al mantenimento (art.156 co.1 c.c.), pur mantenendo il diritto agli alimenti, ove ne ricorrano i presupposti.
Tra le conseguenze dell’addebito della separazione vi è la perdita dei diritti successori nei confronti dell’altro coniuge (art. 548 co.2 c.c.), salvo diritto ad un assegno vitalizio a carico dell’eredità alla condizione che già gli fosse riconosciuto il diritto agli alimenti.
Altra eventuale conseguenza dell’addebito della separazione (le domande di regola sono svolte contestualmente, sebbene siano giuridicamente autonome e distinte) può essere il diritto al risarcimento del danno conseguente la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio che si sia concretizzata in una violazione dei diritti fondamentali della persona (del coniuge a cui la separazione non è stata addebitata). I casi giurisprudenziali concernono tre fattispecie di fatto: richiesta di risarcimento danni in caso di separazione per violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale; richiesta di risarcimento danni in caso di separazione per violazione degli obblighi di assistenza e solidarietà tra i coniugi e, infine, richiesta di risarcimento danni in caso di separazione per mancata conoscenza delle condizioni di salute psicofisiche e/o sessuali dell’altro coniuge.
Si precisa che dall’accoglimento della richiesta di addebito della separazione non discende automaticamente anche il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno che, come sopra accennato, costituisce una diversa e ulteriore domanda che il Giudice sottoporrà a ulteriore e diverso accertamento, in base alle prove fornite dal richiedente circa il rapporto di causa/effetto tra la violazione dei doveri coniugali e la lamentata lesione dei diritti della persona.
Per ulteriori informazioni sulla possibilità di richiedere la separazione personale dal coniuge con addebito (separazione giudiziale), per consulenze in materia di separazione o divorzio, consensuale o giudiziale, per prendere un appuntamento in Studio o richiedere un parere online, Vi invitiamo a contattare lo Studio Legale ai recapiti indicati nel sito.
*** Contenuto creato dall’Autore prima dell’entrata in vigore del
Decreto legislativo 10/10/2022, n. 149 [ Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata].
Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 ottobre 2022, n. 243
L’Avv. Chiara Pollini opera nel proprio Studio Legale in provincia di Firenze, nel Comune di Sovigliana-Vinci, a pochi passi dal centro città di Empoli. Lo Studio si occupa, tra l’altro, di diritto di famiglia e diritto civile.
Nei casi di studio, con riguardo al diritto di famiglia in modo particolare, sovente ci si trova a rispondere alle domande dei propri Clienti che, in assoluta buona fede e nell’ottica di voler tutelare i figli e la famiglia, desiderano costituire un fondo patrimoniale sulla casa familiare e/o su altri beni.
Il parere legale dell’avvocato che si occupa di diritto di famiglia e di diritto civile, avente oggetto il fondo patrimoniale, finisce molto spesso per disilludere il Cliente, rendendolo chiaramente consapevole delle specifiche e mirate finalità giuridiche del fondo patrimoniale e della conseguente inattaccabilità relativa dei beni vincolati dal fondo medesimo.
Sebbene l’istituto abbia quale primario effetto quello di porre un vincolo su determinati beni – creando, quindi, un “patrimonio separato” cioè astrattamente inattaccabile/inespropriabile dai creditori particolari dei coniugi – è bene illustrare al Cliente che non sempre il fondo patrimoniale sarà opponibile a tutti i creditori indistintamente.
Sia che i coniugi intendano affrontare la questione del fondo patrimoniale in occasione della loro imminente separazione, sia che la costituzione del fondo patrimoniale si renda opportuna, a prescindere dalla crisi coniugale, per tutelare la famiglia da possibili azioni esecutive di creditori, dovranno essere tenute in considerazione tanto le norme che disciplinano l’istituto del fondo patrimoniale (artt. 167/171 c.c.) che la recente Giurisprudenza.
Sarà, quindi, opportuno valutare con l’avvocato, prima di costituire il fondo patrimoniale e onde non incorrere in inutili spese per l’atto pubblico, le contingenti obbligazioni patrimoniali già in essere e l’attuale assetto degli interessi economici dei coniugi e dei figli.
Il parere legale dell’avvocato civilista avente ad oggetto il fondo patrimoniale sarà, dunque, finalizzato ad accertare la convenienza economica effettiva della costituzione del fondo e la tutela che il fondo patrimoniale potrà – o non potrà – concretamente garantire alla famiglia rispetto a debiti preesistenti e/o sopravvenienti.
Vi è, infatti, un limite all’esecuzione forzata sui beni vincolati dal fondo patrimoniale: essi non sono aggredibili dai creditori per debiti che i creditori medesimi sapevano essere estranei all’interesse e ai bisogni della famiglia, salvo che il fondo sia stato costituito in danno ai creditori stessi.
Al contrario, il creditore potrà rivalersi – quindi pignorare – un bene inserito nel fondo patrimoniale se il debito rimasto impagato è stato contratto per i bisogni della famiglia: a nulla valendo, quindi, in questo caso l’esistenza del fondo patrimoniale.
La ratio dell’istituto è evidente: garantire l’esistenza di un patrimonio a tutela (soltanto) degli specifici bisogni della famiglia.
Orbene, il significato del requisito “bisogni della famiglia”, concettualmente pacifico nella giurisprudenza, è in concreto delineato, di volta in volta, dal Giudice di Merito che, progressivamente, ne ha eroso i confini al punto che, ad oggi, esulano dal concetto di “bisogni della famiglia”, in buona sostanza, soltanto le spese meramente superflue e voluttuarie e quelle speculative.
La ratio dell’istituto, quindi, più specificamente, è quella di garantire al bene conferito nel fondo patrimoniale una inespropriabilità relativa rispetto ai creditori dei coniugi che vantino obbligazioni contratte per scopi estranei ai bisogni familiari.
Il parere legale avente oggetto il fondo patrimoniale chiarirà, infatti, al Cliente che anche l’attività lavorativa dei membri della famiglia è considerata dalla giurisprudenza prevalente funzionale ai bisogni della famiglia e alla sua crescita economica e, di conseguenza, funzionale all’interesse della famiglia. Da ciò deriva che il coniuge, indebitatosi per ragioni attinenti la propria attività lavorativa, non potrà evitare che il creditore aggredisca i beni vincolati dal fondo patrimoniale.
E’ il caso dell’imprenditore individuale che, dopo aver costituito il fondo patrimoniale, contrae un debito con una banca perché necessità di liquidità per la propria ditta dalla quale, si presume, egli tragga il reddito di sostentamento per la propria famiglia.
In caso di mancato pagamento del finanziamento, il creditore potrà aggredire i beni vincolati da fondo patrimoniale.
Per paralizzare la pretesa del creditore, l’imprenditore individuale dovrà provare, nel corso del giudizio, che il debito contratto con la banca era estraneo all’interesse della propria famiglia.
Se il fondo è stato costituito allo scopo, o ha per effetto, di sottrarre determinati beni alla garanzia del credito, i creditori potranno ricorrere all’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.) per rendere inopponibile e inefficace il vincolo nei loro confronti.
In caso di debito sorto prima della costituzione del fondo patrimoniale, è sufficiente che i creditori dimostrino che il debitore era consapevole di poter danneggiare l’interesse al recupero del credito. Occorrerà anche dimostrare che il patrimonio residuo del debitore è insufficiente a soddisfare le ragioni creditorie.
In caso di debito sorto dopo la costituzione del fondo patrimoniale, i creditori dovranno dimostrare l’intenzione di nuocere ai loro interessi, cioè l’intento fraudolento. Cioè, se l’atto di costituzione del fondo è anteriore rispetto all’indebitamento, il creditore, allo scopo di rendere inefficace nei suoi confronti il fondo patrimoniale, dovrà dimostrare oltre alla scientia damni anche l’esistenza dell’intento fraudolento del debitore.
Per ulteriori informazioni sulla costituzione del fondo patrimoniale nell’interesse della famiglia, per consulenze in materia di diritto di famiglia e/o di diritto civile, è possibile prendere un appuntamento in Studio o richiedere un parere online ai contatti indicati nel sito internet.
L’Avv. Chiara Pollini opera nel proprio Studio Legale in provincia di Firenze, nel Comune di Sovigliana-Vinci, a pochi passi dal centro città di Empoli. Lo Studio si occupa, tra l’altro, di responsabilità civile attinenti attività equestri esercitate da associazioni sportive, professionisti e privati proprietari di cavalli.
Il privato o l’associazione sportiva equestre che prenda in gestione un maneggio assume su di sé importanti rischi di impresa ed è per tale motivo che sarà utile ed opportuna la consulenza e l’assistenza di un avvocato che si occupi di attività equestre. Preoccupazione principale del gestore del maneggio che si rivolge allo studio legale sarà quella di capire come cautelarsi da richieste danni derivanti da responsabilità civile e penale.
È senz’altro fondamentale tutelarsi dalle responsabilità sia civili che penali in cui il circolo ippico può incorrere, data anche l’imprevedibilità dei cavalli che, sebbene per propria natura siano considerate prede e pertanto siano solitamente del tutto inoffensivi, ben potranno avere reazioni istintive dettate dallo spavento o da un improvviso fattore di disturbo e, quindi, causare danni a cose e persone.
Rispettare le norme di legge e i regolamenti sportivi, nonché le direttive delle Federazioni, ove esistenti, eviterà di incorrere in responsabilità civile e penale derivante dalla custodia e dall’impiego dei cavalli ospitati presso la struttura, sia che i cavalli siano di proprietà di terzi, sia che essi siano intestati alla struttura medesima (o al titolare del maneggio).
Fondamentale è comunque cautelarsi, in via precauzionale, con la stipula di polizze ad hoc che prevedano estensioni di rischio per il maneggio ulteriori rispetto a quelli comunemente coperti da assicurazioni sportive obbligatorie.
Limitando volutamente, per il momento, il tema alla responsabilità civile del maneggio, ci occuperemo della responsabilità di tipo extra contrattuale – o da fatto illecito – che è riconducibile a due norme contenute nel codice civile.
A mente del fatto che il “diritto equestre”, nel nostro Ordinamento, non trova disciplina specialistica, si farà riferimento alternativamente alla “responsabilità per esercizio di attività pericolosa” ex art. 2050 C.C. o alla “responsabilità per danni cagionati da animali” ex art. 2052 C.C..
L’art. 2050 c.c. così dispone:
“Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.”
Dunque l’attività equestre è attività pericolosa? Non necessariamente, ma la pericolosità sarà valutata nel caso concreto, in base alle circostanze e alla dinamica dell’evento dannoso.
Non è pericolosa la lezione di equitazione dell’allievo principiante impartita all’interno del rettangolo del maneggio dall’istruttore, in possesso di regolare titolo, che abbia assegnato all’allievo principiante un cavallo “da scuola”, di indole mite e abituato a (sop)portare i principianti, tollerandone le comuni carenze tecniche.
La stessa lezione di equitazione, con il medesimo allievo principiante, acquisterà tuttavia caratteristiche di pericolosità, agli effetti dell’art. 2050 c.c., qualora l’istruttore si allontani dal campo e/o permetta al principiante di muovere il cavallo in autonomia (senza sorvegliare cavallo e cavaliere, quindi), oppure qualora l’istruttore, pur rimanendo in campo, abbia assegnato all’allievo alle prime armi un puledro non abituato alla scuola, oppure un cavallo nevrile, intollerante agli errori del cavaliere inesperto.
Si possono, quindi, immaginare i più disparati fattori che sono astrattamente suscettibili di “far diventare” pericolosa la semplice lezione di equitazione di un principiante, imputabili e/o non imputabili al gestore del maneggio.
Ed ecco allora che, per andare esente da responsabilità civile del maneggio, il titolare dello stesso dovrà dimostrare che – pur avendo acquisito la lezione di equitazione i caratteri della pericolosità ex art. 2050 c.c. – il circolo aveva adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, oltre, a non esser incorso in nessuna violazione di legge.
La Giurisprudenza, quindi, è orientata, in linea di principio, a ritenere l’attività equestre intrinsecamente non pericolosa e a contestualizzare le caratteristiche e la concreta dinamica dell’evento dannoso verificatosi nello svolgimento dell’attività stessa.
Si precisa, tuttavia, che è non pericolosa la lezione di equitazione tenuta da personale qualificato all’interno della struttura idonea, accentuando tuttavia l’essenzialità della presenza continuativa dell’istruttore titolato all’interno del rettangolo.
La responsabilità civile del maneggio sorge, dunque, solitamente ex art. 2052 c.c., che così dispone:
“Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito“.
Quindi, solitamente, il gestore del maneggio si troverà a rispondere (in quanto proprietario e/o utilizzatore in senso economico dell’animale) per ogni reazione del cavallo che abbia arrecato un danno a cose e/o persone, comunque si sia verificato e in ragione del fatto che sia stato causato dall’animale.
Non avrà alcuna importanza indagare la “colpa” effettiva della condotta del gestore del maneggio (o dell’utilizzatore economico) perché ciò che rileva per l’applicazione dell’art. 2052 c.c. è soltanto che il comportamento dell’animale e l’incidenza causale sui danni subiti dal terzo.
Sarà possibile escludere la responsabilità del titolare del circolo equestre soltanto se si riuscirà a fornire prova che l’evento dannoso è stato causato da un fattore esterno o dalla condotta di terze persone.
Si ricorda, la recente Sentenza del Tribunale di Firenze del 07/05/2020 esaminata in altro articolo del blog.
Tale Sentenza ha escluso la responsabilità civile del maneggio in quanto le lesioni personale amazzone sono state causate all’esito di una dinamica dell’evento dannoso (conduzione sotto mano del cavallo nel tentativo di introdurlo nel van) in cui ha interferito un fattore esterno (arrotolamento della longia attorno alle dita dell’amazzone) del tutto eccezionale e non prevedibile e non riconducibile al comportamento del cavallo (alzata della testa e riottosità ad entrare nel van).
Lo Studio Legale Avv. Chiara Pollini si trova a Sovigliana-Vinci (Fi), in Viale Togliatti n.111, a pochi passi dal centro città di Empoli e, per ulteriori informazioni sui rischi dell’attività equestre, oppure per consulenze in materia di responsabilità civile del maneggio Vi invita a per prendere un appuntamento in Studio o richiedere un parere online.
*** Contenuto creato dall’Autore prima dell’entrata in vigore del
Decreto legislativo 10/10/2022, n. 149 [ Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata].
Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 ottobre 2022, n. 243
Il mantenimento dei figli è, assieme al diritto al mantenimento del coniuge (e al diritto all’assegno divorzile), una delle più importanti questioni che vengono in considerazione al momento della separazione (o del divorzio) dei coniugi.
La questione del mantenimento dei figli, invero, è solitamente quella percepita come maggiormente urgente dal genitore e quella che lo spinge, magari dopo lunga titubanza, a rivolgersi ad uno studio legale che si occupa di diritto di famiglia.
La prima informazione da comunicare con estrema chiarezza al cliente è che l’obbligo di mantenimento dei figli è previsto dalla Costituzione (art.30) e vale per il solo fatto di averli generati, a prescindere dal matrimonio e/o dalle unioni civili e/o di fatto e che sussiste per entrambi i genitori in base alle rispettive sostanze.
La disciplina di riferimento è contenuta nel codice civile agli artt. 315 bis co.1, 317 bis co.2 ,337 ter co.4, 337 septies; inoltre, nel corso dei procedimenti di separazione e divorzio, si dovranno tenere in considerazione – laddove esistenti – i Protocolli adottati dai vari Tribunali che concernono la quantificazione dell’assegno di mantenimento e, nello specifico, le spese – ordinarie e straordinarie – che l’assegno è diretto a coprire.
Più precisamente, nei casi di separazione consensuale dei coniugi e di divorzio congiunto, l’assegno di mantenimento dei figli diviene oggetto di accordo tra i genitori che, tra loro, ripartiranno le tipologie di spese in favore del figlio anche indipendentemente dai Protocolli in vigore, in base alle esigenze dei figli e alla capacità economica dei coniugi.
In tal modo, i genitori, in base alla rispettiva forza economica, potranno anche concordare di obbligarsi a pagare spese non necessarie e prettamente voluttuarie o di svago (viaggi, divertimenti e sport d’elite, attività sportive agonistiche ecc..).
Nei procedimenti contenziosi, invece, sarà il Giudice a disporre il pagamento periodico dell’assegno, confrontando la capacità reddituale dei genitori e disciplinando la ripartizione delle spese ordinarie e straordinarie in favore dei figli, secondo i criteri di legge e, come detto, quando esistenti, secondo i criteri dei Protocolli in materia di diritto di famiglia.
Più raro, invece, che il Giudice decida per il mantenimento diretto dei figli, o per il mantenimento in un’unica soluzione a preferenza del pagamento di assegno periodico di mantenimento.
Altra informazione importante, non sempre chiara al genitore che si rivolge all’avvocato perché l’altro “pretende che continui a pagare il mantenimento a mio figlio che ha già (!!!) diciotto anni!” è che l’obbligo di mantenimento della prole, previsto dalla legge specificamente per i figli minorenni, non cessa al compimento della maggiore età.
Invero non esiste un’età prestabilita o un limite di età, restando i genitori obbligati sino a che il figlio non ha raggiunto l’indipendenza economica.
La Giurisprudenza, al riguardo, appare concorde, tuttavia, nel riconoscere la cessazione dell’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente indipendente che resti inerte nella ricerca di occupazione, non impegnandosi nello svolgimento di alcuna attività o che abbia ingiustificatamente rifiutato offerte lavorative.
La casistica giurisprudenziale è molto ampia, ma l’orientamento dominante appare attento a valutare la diligenza del figlio nella collocazione nel mercato del lavoro.
Le modalità attraverso cui si determina l’ammontare dell’assegno tengono conto di diversi fattori. Su tutti, il Giudice valuterà le esigenze attuali dei figli e il tenore di vita goduto sino a che è stata mantenuta l’unità familiare.
Saranno, poi, considerati la collocazione (o la convivenza in caso di figli maggiorenni) prevalente dei figli e, in generale, il tempo che trascorrono presso il genitore non collocatario e, naturalmente, le rispettive risorse economiche dei genitori.
I Tribunali, nei giudizi di separazione giudiziale e divorzio contenzioso, inoltre, mostrano sempre maggiore valorizzazione, nel ripartire il quantum del mantenimento dei figli, della cura e assistenza diretta dai genitori rispettivamente profuse nella quotidianità in favore dei figli.
Non vi sono dubbi, infatti, oggi che la permanenza presso uno o l’altro dei genitori abbia, tra l’altro, una valenza anche economica di contribuzione al mantenimento della prole.
Come per il diritto al mantenimento del coniuge (o all’assegno divorzile) i requisiti elencati per sommi capi dovranno essere oggetto di puntuale prova per formare il convincimento del Giudice.
L’Avv. Chiara Pollini opera nel proprio Studio Legale in provincia di Firenze, nel Comune di Sovigliana-Vinci, a pochi passi dal centro città di Empoli. Lo Studio si occupa, tra l’altro, di diritto di famiglia e cura con particolare dedizione i procedimenti di separazione e divorzio, congiunti o giudiziali (contenziosi).
Per ulteriori informazioni sull’obbligo di mantenimento dei figli nei giudizi di separazione (o divorzio), nonché per consulenze in materia di diritto di famiglia in generale e procedimento di separazione o divorzio, Vi invita a per prendere un appuntamento in Studio o richiedere un parere online (i riferimenti sono nella sezione contatti).
*** Contenuto creato dall’Autore prima dell’entrata in vigore del
Decreto legislativo 10/10/2022, n. 149 [ Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata].
Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 ottobre 2022, n. 243
L’Avv. Chiara Pollini opera nel proprio Studio Legale in provincia di Firenze, nel Comune di Sovigliana-Vinci, a pochi passi dal centro città di Empoli. Lo Studio si occupa, tra l’altro, di diritto di famiglia e cura con particolare dedizione i procedimenti di separazione e divorzio, congiunti o giudiziali (contenziosi) ed il regime patrimoniale tra i coniugi.
Tali procedimenti coinvolgono, oltre i rapporti personali, il patrimonio familiare e quello dei coniugi. Sia i provvedimenti del Giudice, che le concordate condizioni di separazione consensuale e, parimenti, l’accordo di negoziazione assistita, incidono sulla gestione e sulle sorti, in genere, dei rapporti patrimoniali tra i coniugi.
I rapporti patrimoniali verranno diversamente coinvolti, durante i procedimenti di separazione e divorzio, a seconda che il regime patrimoniale prescelto al momento del matrimonio sia quello della comunione legale beni o quello della separazione legale dei beni.
Il regime patrimoniale tra i coniugi viene prescelto al momento della celebrazione del matrimonio ed è quello della comunione legale, salvo che gli sposi non indichino espressamente di optare per la separazione dei beni.
Vi è, poi, un terzo regime patrimoniale tra i coniugi, quello della “comunione convenzionale” che può essere scelto prima o dopo il matrimonio, stipulando un atto pubblico che, per espresso accordo degli interessati, modifica la comunione legale (ammettendo o escludendo beni e/o indicando come amministrarli), pur nel rispetto delle norme inderogabili.
La comunione legale dei coniugi ha ad oggetto soltanto alcuni beni (immobili, mobili, diritti e crediti), mentre per gli altri permane la condizione originaria di separazione dei rispettivi patrimoni delle parti. Entrano a far parte della comunione tutti i beni acquistati congiuntamente o disgiuntamente dai coniugi durante il matrimonio e le aziende costituite dopo il matrimonio gestite da entrambi i coniugi. Tali beni entrano in comunione immediatamente, cioè non appena vengono acquistati. Entrano, poi, in comunione anche i frutti dei beni propri di ciascun coniuge e i proventi dell’attività separata di ciascun coniuge, ma soltanto se le somme residueranno al momento dello scioglimento della comunione (cosiddetta “de residuo”).
Non entrano, invece, a far parte della comunione i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario, né quelli che, in costanza di matrimonio, sono pervenuti ad uno dei coniugi a titolo gratuito. Restano, inoltre, esclusi dalla comunione gli altri acquisti che, ai sensi dell’art. 179 c.c., costituiscono beni personali:
Su questi ultimi beni, dunque, al momento della separazione personale dei coniugi, o del divorzio, nulla può pretendersi.
Per quanto concerne i debiti contratti dai coniugi durante il matrimonio, in line generale, si deve distinguere in base al motivo per cui è stata assunta l’obbligazione di pagamento.
I debiti dei coniugi – e i debiti del singolo coniuge – contratti nell’interesse precipuo della famiglia trovano garanzia di solvibilità nel patrimonio in comunione.
Il debito contratto, invece, per motivi diversi dall’interesse familiare – non è un debito comune ma – è un debito personale del coniuge del quale quest’ultimo è chiamato a rispondere – prima e in via preferenziale – con i beni personali. Soltanto qualora i beni personali del coniuge non siano sufficienti per onorare il pagamento, allora il coniuge ne risponderà con i beni facenti parte della comunione legale.
Ciò significa che i creditori del coniuge che ha contratto il debito per ragioni personali, dovranno prima aggredire il patrimonio personale del debitore e, soltanto dopo averlo infruttuosamente escusso, rivalersi sul patrimonio familiare.
La comunione si scioglie, nei casi più numericamente significativi, con la Separazione Personale dei coniugi. Si scioglie, inoltre, con il divorzio (nei casi in cui non sia preceduto da Separazione), con l’annullamento e la dichiarazione di nullità. Infine, cessa nel caso di richiesta giudiziale di separazione dei beni (in presenza dei requisiti indicati dall’art. 193 cod. civ.) e, infine, per morte, dichiarazione di morte presunta, di assenza e di fallimento.
Lo Studio Legale Avv. Chiara Pollini si trova a Sovigliana-Vinci (Fi), in Viale Togliatti n.111, a pochi passi dal centro città di Empoli. Per ulteriori informazioni sul regime patrimoniale tra i coniugi, sui debiti contratti durante il matrimonio e sull’opportunità di chiedere la separazione legale dei beni, nonché per consulenze in materia di diritto di famiglia, Vi invita a per prendere un appuntamento in Studio o richiedere un parere online (i riferimenti sono nella sezione contatti).
*** Contenuto creato dall’Autore prima dell’entrata in vigore del
Decreto legislativo 10/10/2022, n. 149 [ Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata].
Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 ottobre 2022, n. 243
L’Avv. Chiara Pollini opera nel proprio Studio Legale in provincia di Firenze, nel Comune di Sovigliana-Vinci, a pochi passi dal centro città di Empoli. Lo Studio si occupa, tra l’altro, di diritto di famiglia e cura con particolare dedizione i procedimenti di Separazione e Divorzio, congiunti o giudiziali (contenziosi).
La normativa di riferimento è contenuta nella Legge nr. 898/1970. Con il divorzio si sciolgono gli effetti civili del matrimonio religioso, oppure si scioglie il matrimonio celebrato con rito civile.
Il procedimento di divorzio può essere avviato da ciascun coniuge indipendentemente dalla volontà dell’altro (divorzio giudiziale), oppure da entrambi congiuntamente (divorzio congiunto), in quest’ultimo caso indifferentemente con l’assistenza di un unico Avvocato oppure con il Patrocinio dei rispettivi Legali di fiducia.
Si è aggiunto, poi, con la Legge n. 162 del 2014 , il procedimento di convenzione di negoziazione assistita, ossia una procedura gestita dai rispettivi avvocati di fiducia dei coniugi che conduce allo scioglimento del matrimonio senza ricorrere all’Autorità Giudiziaria. E’ questa la più snella modalità per ottenere il divorzio, spesso indicata dai Clienti, con espressione del tutto atecnica, come “divorzio davanti all’avvocato”. La stessa normativa ha introdotto, infine, la possibilità di domandare lo scioglimento del matrimonio innanzi l’ufficiale dello stato civile, secondo le modalità comunemente chiamate “divorzio facile”.
Comunemente, il divorzio viene chiesto a seguito dell’intervenuta Separazione Personale dei coniugi. Per avviare il procedimento di scioglimento (degli effetti civili) del matrimonio (religioso) dovranno essere trascorsi
Il termine decorre, in entrambi i casi, dal giorno della comparizione dei coniugi innanzi il Presidente del Tribunale all’esito della quale è stato emesso il provvedimento di autorizzazione dei coniugi a vivere separati, anche se la Sentenza di Separazione o il Decreto di Omologa del Tribunale interviene in un momento successivo. Il termine previsto si considera interrotto in caso di riconciliazione dei coniugi.
Tale termine è inderogabile, ma ciò non è noto a tutti. Infatti, sovente i coniugi separati si rivolgono al proprio avvocato chiedendo del “divorzio breve”. Tale gergale espressione è, però, alquanto fuorviante: il divorzio, nel nostro Ordinamento, non è “immediato”, ma è ottenibile dai coniugi soltanto dopo che sono decorsi 6 mesi dalla Separazione Consensuale (o dalla conclusione della procedura di negoziazione assistita) o 1 anno dalla Separazione Giudiziale e all’esito di procedimenti – più o meno articolati e complessi –che, però, devono obbligatoriamente essere intrapresi e, pertanto, hanno comunque dei tempi tecnici non superabili.
Attualmente, per presentare domanda di divorzio– anche dopo l’entrata in vigore della Legge n. 162 del 2014sul cosiddetto “divorzio davanti all’avvocato”, cioè mediante procedimento di convenzione di negoziazione assistita o di fronte all’ufficiale dello stato civile (il “divorzio facile”) – le parti devono alternativamente essere in possesso
Meno frequenti le altre cause di divorzio previste dalla Legge, che prescindono dalla Separazione Personale: la condanna di rilevanza penale del coniuge per determinate categorie di delitti ritenuti particolarmente riprovevoli; la mancata consumazione del matrimonio; passaggio in giudicato di sentenza di modificazione di attribuzione di sesso e, ovviamente, l’annullamento o scioglimento del matrimonio ottenuto all’Estero e/o l’aver contratto nuovo matrimonio all’Estero.
Con la Sentenza di divorzio le parti riacquistano lo status di “libero” e viene meno il cognome maritale per la moglie. Vengono meno il dovere di fedeltà, di coabitazione, di assistenza morale e materiale e di collaborazione. Resta indissolubile, naturalmente, il Sacramento del Matrimonio nel caso di celebrazione con rito religioso per la Chiesa Cattolica e le nuove nozze dovranno essere celebrate necessariamente davanti l’ufficiale di stato civile.
Lo Studio Legale Avv. Chiara Pollini si trova a Sovigliana-Vinci (Fi), in Viale Togliatti n.111, a pochi passi dal centro città di Empoli e, per ulteriori informazioni sul procedimento di separazione e valutare la più opportuna procedura di scioglimento del matrimonio nel caso concreto, nonché per consulenze in materia di diritto di famiglia, Vi invita a per prendere un appuntamento in Studio o richiedere un parere online (i riferimenti sono nella sezione contatti).
*** Contenuto creato dall’Autore prima dell’entrata in vigore del
Decreto legislativo 10/10/2022, n. 149 [ Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata].
Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 ottobre 2022, n. 243
L’Avv. Chiara Pollini opera nel proprio Studio Legale in provincia di Firenze, nel Comune di Sovigliana-Vinci, a pochi passi dal centro città di Empoli. Lo Studio si occupa, tra l’altro, di diritto di famiglia e cura con particolare dedizione i procedimenti di separazione e divorzio, congiunti o giudiziali (contenziosi).
La regolamentazione dei rapporti economici tra i coniugi rappresenta questione essenziale per la definizione della crisi matrimoniale, tanto nella separazione, che nel divorzio.
Nel procedimento di divorzio in particolare, punto cruciale della disciplina dei rapporti economici è il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio che, a differenza dell’assegno di mantenimento già eventualmente previsto con la separazione, presuppone lo scioglimento del vincolo matrimoniale.
L’assegno divorzile è previsto dall’art. 5, co.VI, della Legge n. 898/1970 che dispone la corresponsione di un assegno periodico in favore del coniuge che non ha mezzi adeguati o non possa procurarseli per ragioni oggettive. L’assegno di divorzio, oggetto di vastissima giurisprudenza di merito e di legittimità, ha trovato nuovo inquadramento con la sentenza n. 18287/2018 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
La sentenza n. 18287/2018 delle Sezioni Unite ha, infatti, decretato il superamento del maggiormente noto criterio del “tenore di vita” dei coniugi quale parametro di determinazione dell’assegno di divorzio (non senza lasciare agli operatori del diritto problemi interpretativi). La Corte ha, invece, riconosciuto la natura composita del diritto all’assegno divorzile e necessariamente più articolata.
L’assegno divorzile assume, oggi, funzione sia assistenziale-risarcitoria sia compensativa, successiva allo scioglimento del vincolo matrimoniale, con preminenza della funzione perequativa.
L’assegno di divorzio, quindi, secondo il più recente orientamento giurisprudenziale, ha perduto il preminente carattere strettamente assistenzialistico della parte economicamente svantaggiata, perché non si basa più soltanto sulla disparità reddituale dei coniugi (correzione e superamento del criterio del “tenore di vita”), né si basa più soltanto sulle condizioni soggettive del richiedente (criterio dell’autosufficienza economica).
Ai fini del riconoscimento dell’assegno, dunque, sebbene vadano ancora considerati i criteri di Legge (condizioni e reddito dei coniugi, ragioni della decisione, contributo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio, proprio o comune), da valutarsi anche in rapporto alla durata del matrimonio, si aggiunge un’ulteriore valutazione che il Giudice dovrà effettuare per riconoscere il diritto all’assegno.
Senza pretesa di essere esaustivi, in quanto il tema merita (e richiede) approfondimenti giurisprudenziali e dottrinali sia antecedenti che successivi alla pronuncia delle Sezioni Unite, con la Sentenza nr. 18287/2918, la Corte di Cassazione indica al Giudice di valutare il pregresso vissuto matrimoniale, accertando in maniera rigorosa se l’attualità dello squilibrio economico tra le parti – su cui il richiedente l’assegno divorzile fonda la propria pretesa – trova la sua origine (in un rapporto di causa/effetto) nelle scelte matrimoniali e familiari compiute durante gli anni di matrimonio.
Solo per fare alcuni esempi: la rinuncia di un coniuge ad un maggiore impegno lavorativo compiuta durante la convivenza matrimoniale, oppure l’interruzione di un percorso professionale, sono scelte che possono aver pregiudicato in maniera irreversibile la posizione economica del richiedente l’assegno. In quanto tali, in giudizio, diventano elementi che, se provati, hanno rilevanza ai fini del riconoscimento dell’assegno di divorzio.
Qualora la parte richiedente l’assegno divorzile dia prova in giudizio che lo squilibrio economico tra i coniugi è rilevante e dipendente – causalmente originato – dalle scelte e dai sacrifici fatti nell’interesse della famiglia in costanza di matrimonio e che, date le contingenti circostanze (su tutte, l’età del coniuge), non è oggettivamente esigibile che tale squilibrio economico possa essere superato dal soggetto richiedente l’assegno, l’assegno sarà riconosciuto.
L’assegno potrà allora essere commisurato, piuttosto che al pregresso tenore di vita familiare, al contributo fornito dal coniuge richiedente alla vita familiare rapportato alla durata della convivenza matrimoniale. Fondamentale, anche in questo caso, sarà fornire elementi probatori rigorosi per formare il convincimento del Giudice sull’esistenza dell’impegno quantitativo e qualitativo profuso dal richiedente l’assegno alla vita familiare.
Il nuovo orientamento giurisprudenziale, imponendo una valutazione più articolata e complessa della vita coniugale, esclude automatismi nel riconoscimento del diritto e chiarisce, pur nella complessità del contenuto della Pronuncia (il cui esame in questo articolo è volutamente limitato agli aspetti essenziali) che il solo criterio assistenziale non può più considerarsi sufficiente a fondare il diritto all’assegno di divorzio, diritto che, invece, potrà essere riconosciuto da Giudice declinandolo in maniera differente a seconda del singolo caso concreto, sulla base del più attento vaglio e della specificità del pregresso familiare.
Lo Studio Legale Avv. Chiara Pollini si trova a Sovigliana-Vinci (Fi), in Viale Togliatti n.111, a pochi passi dal centro città di Empoli e, per ulteriori informazioni sul diritto all’assegno divorzile e sul procedimento di divorzio, nonché per consulenze in materia di diritto di famiglia, Vi invita a per prendere un appuntamento in Studio o richiedere un parere online.
L’Avv. Chiara Pollini opera nel proprio Studio Legale in provincia di Firenze, nel Comune di Sovigliana-Vinci, a pochi passi dal centro città di Empoli. Lo Studio si occupa, tra l’altro, di contratti e di responsabilità civile attinenti attività equestri esercitate da associazioni sportive, professionisti e privati proprietari di cavalli.
Coloro che si dedicano ad attività equestri, per mestiere o soltanto per passione, spesso sottovalutano l’importanza e la convenienza dell’assistenza legale nella gestione dei contratti in materia equestre.
I rapporti contrattuali che possono instaurarsi tra i soggetti che, per lavoro o soltanto per passione, si dedicano all’equitazione, infatti, sono molteplici e dal contenuto eterogeneo.
Tra questi vi è il contratto di pensionamento cavalli. Il contratto di pensionamento (o pensione) cavalli sorge tra il gestore di un circolo ippico o il proprietario di un maneggio e il proprietario del cavallo.
Solitamente, il titolare del maneggio (ovvero l’associazione sportiva) e il proprietario del cavallo si accordano verbalmente sulle modalità di ricovero dell’animale (box o paddock) e sulla somministrazione delle profende (fieno, acqua, miscele varie di cereali o altro), prevedendo un corrispettivo mensile. Tale accordo verbale è immediato e senza costi e appare, pertanto, semplice quanto vantaggioso. E così è, in effetti, sino a che non sorgono le prime incomprensioni tra le parti.
Sia che il titolare del maneggio lamenti la morosità del proprietario del cavallo in stallo, o che sia il proprietario del cavallo a lamentare omissioni nel servizio concordato da parte del circolo ippico, tali “prime incomprensioni” finiranno per sfociare in una vera e propria controversia e, quindi, in un’azione giudiziale (di recupero credito, di risarcimento danni o quant’altro).
In tale controversia sarà difficile far valere i propri diritti senza un documento scritto da cui risultino con chiarezza le obbligazioni contrattuali rispettivamente assunte dalle parti e, durante la fase giudiziale, altrettanto difficile sarà fornire al Giudice prova del fondamento della pretesa azionata.
Un contratto di pensionamento cavalli redatto da un avvocato rappresenta la migliore tutela per entrambe le parti in caso di contestazioni e di inadempimento.
Il recupero credito in favore del titolare del circolo, ad esempio, in caso di morosità del proprietario del cavallo, diverrà più rapido (potendosi richiedere un decreto ingiuntivo, anziché avviare una causa per l’accertamento dell’esistenza e la quantificazione del credito vantato). Inoltre, si potrà far valere, nei modi e nelle forme di legge, il diritto di ritenzione sul cavallo ex art. 2756 c.c. che, nel contratto redatto in forma scritta dall’avvocato, sarà oggetto di specifica clausola.
Non solo. La forma scritta del contratto di pensionamento cavalli rappresenta la più importante tutela per il proprietario del cavallo perché soltanto in tal modo risulteranno con certezza definite tra le parti le modalità di ricovero, tipo di alimentazione e custodia dell’equide e sarà possibile prevedere -per scritto- prestazioni particolari di cui quel particolare cavallo necessita (ad esempio, quotidiana movimentazione per motivi atletici o di salute).
La forma scritta del contratto di pensionamento cavalli garantisce trasparenza delle condizioni di deposito – pensione pretese dal proprietario e informa in maniera completa il titolare del maneggio circa le esigenze dell’equide. Il titolare del circolo, inoltre, ha diritto di avere informazioni esaustive e veritiere sulle condizioni di salute psicofisiche dell’equide in ingresso, onde adottare tutte le opportune cautele in favore dell’animale (e di terzi) per andare esente da responsabilità. L’accordo verbale di pensione cavalli, infine, non implica anche che il proprietario conosca e accetti il regolamento della struttura, aspetto, invece, che è di assoluta importanza per il gestore del maneggio.
Soltanto con un contratto di pensionamento cavalli redatto dall’avvocato, tali informazioni divengono oggetto di specifiche clausole che le parti dovranno espressamente approvare e sottoscrivere.
Ai sensi dell’art. 1322 c.c., infatti, “le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge” e possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
Conclusivamente, per il pensionamento dei cavalli, ferme le norme generali del codice civile in materia di contratti, ritenute in tutto e/o in parte applicabili le disposizioni sul contratto di deposito e/o sul contratto di somministrazione, concordare per scritto, con l’assistenza di un avvocato, termini e condizioni che si adattino alle esigenze specifiche del cavallo è il modo migliore per evitare problematiche ricorrenti tra il gestore del maneggio e il proprietario.
Lo Studio Legale Avv. Chiara Pollini si trova a Sovigliana-Vinci (Fi), in Viale Togliatti n.111, a pochi passi dal centro città di Empoli e, per ulteriori informazioni sul contratto di pensionamento cavalli e per consulenze in materia responsabilità contrattuale del gestore (associazione sportiva) di maneggio, Vi invita a per prendere un appuntamento in Studio o richiedere un parere online.
*** Contenuto creato dall’Autore prima dell’entrata in vigore del
Decreto legislativo 10/10/2022, n. 149 [ Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata].
Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 ottobre 2022, n. 243
In questo articolo si esamina il caso della richiesta di separazione personale dal coniuge con addebito della separazione.
L’Avv. Chiara Pollini opera nel proprio Studio Legale in provincia di Firenze, nel Comune di Sovigliana-Vinci, a pochi passi dal centro città di Empoli. Lo Studio si occupa, tra l’altro, di diritto di famiglia e cura con particolare dedizione i procedimenti di separazione e divorzio, congiunti o giudiziali (contenziosi). Una delle prime domande che, in materia di separazione legale dei coniugi, vengono rivolte all’avvocato riguarda l’addebito della separazione e le condizioni alle quali è possibile ottenere tale pronuncia.
E’ diritto della parte richiedente la separazione giudiziale domandare al Giudice l’addebito della separazione all’altra parte. Tuttavia la domanda di addebito deve trovare precisi presupposti di legge che, nel processo, diventano fatti che dovranno essere provati puntualmente.
Il coniuge che svolge domanda di addebito della separazione deve dimostrare, infatti, che l’irreversibilità della crisi coniugale – presupposto della domanda di separazione stessa – è ricollegabile esclusivamente al comportamento dell’altro coniuge.
Per fornire tale dimostrazione, occorrerà, quindi provare che il coniuge nei cui confronti è chiesto l’addebito ha tenuto comportamenti in violazione dei doveri nascenti dal matrimonio.
Deve essere provato anche il rapporto di causalità tra il comportamento illegittimo del coniuge e l’impossibilità di ricomporre la crisi coniugale, cioè il nesso causa/effetto tra la condotta – contraria ai doveri coniugali – e la sopravvenuta intollerabilità della prosecuzione della convivenza che, appunto, come spiegato in altri articoli del blog, costituisce presupposto fondamentale per richiedere la separazione coniugale.
La pronuncia di addebito della separazione, oggi, non ha più una connotazione di “colpa”, ma ha indubbiamente effetti pregiudizievoli di natura economica per la parte soccombente.
Il coniuge a cui è stata addebitata la separazione, infatti, non ha diritto al mantenimento, ai sensi dell’art. 156 c.1 Cod.Civ. (fermo il diritto, diverso, agli alimenti). Inoltre, ulteriore conseguenza pregiudizievole prevista dal Codice Civile è la perdita dei diritti successori nei confronti dell’altro coniuge (salvo, qualora abbia acquisito diritto agli alimenti, un assegno vitalizio a carico dell’eredità).
Si deve, però, riconoscere come, nella pratica, non sia sempre semplice ottenere una pronuncia di addebito perché, in corso di causa, possono emergere circostanze che integrano gli estremi di violazione dei doveri coniugali a carico di entrambi i coniugi, con conseguenti responsabilità condivise da marito e moglie circa la irreversibilità della crisi matrimoniale.
Nel corso del procedimento di separazione, infatti, accade che le parti si incolpino vicendevolmente del fallimento del rapporto di coppia e a fare la differenza, ai fini dell’accoglimento della domanda di addebito a carico dell’uno o dell’altro, sarà la solidità prova del nesso/causa effetto tra comportamento del coniuge e intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
La domanda di addebito, quindi, deve essere supportata da prove inconfutabili che convincano il Giudice circa la responsabilità esclusiva di uno dei coniugi nella causazione della crisi matrimoniale, altrimenti non sarà accolta.
Compito dell’avvocato che si occupa abitualmente di diritto di famiglia e, in particolare di separazioni giudiziali, è chiarire l’importanza di questo aspetto al Cliente sin dalla prima consulenza. Eventualmente, valutando la convenienza di indagini sulle abitudini del coniuge con l’aiuto di professionisti nei servizi investigativi.
Per ulteriori informazioni sulla possibilità di richiedere la separazione personale dal coniuge con addebito (separazione giudiziale), per consulenze in materia di separazione o divorzio, consensuale o giudiziale, per prendere un appuntamento in Studio o richiedere un parere online.
Per approfondire ulteriormente l’argomento, tieniti aggiornato attraverso la sezione Blog. Trovi articoli inerenti il diritto di famiglia e i procedimenti di separazione e divorzio.
Inoltre, puoi leggere anche gli aggiornamenti sulle tematiche del diritto equestre e della responsabilità civile per svolgimento delle attività equestri.